Coronavirus

"Folle riaprire tutto il Paese. Tanti casi come due mesi fa"

Il professor Crisanti: "Meglio scegliere solo tre Regioni campione per vedere se esplodono nuovi focolai"

Test seriologici per il coronavirus (Fotogramma)
Test seriologici per il coronavirus (Fotogramma)

«Una follia riaprire tutte le regioni insieme». Andrea Crisanti, ordinario all'università di Padova e direttore del laboratorio di Microbiologia del Policlinico, è stato fra i primi a paventare del rischio di migliaia di contagiati mentre molti suoi colleghi minimizzavano il pericolo paragonando il Covid 19 ad una semplice «influenzetta». In vista della Fase 2 la sua preoccupazione aumenta. Pur ritenendo giusto che si ritorni gradualmente a riavviare le attività produttive anche in questo caso come nella Fase 1 quello che Crisanti imputa al governo è la mancanza di una strategia che sia davvero efficace per evitare che la curva epidemica torni a rialzarsi quando le saracinesche si riapriranno ed ci sarà più gente in movimento.

Professor Crisanti siamo pronti alla Fase2?

«L'8 marzo quando è stato deciso il lockdown avevamo registrato 1.797 contagi in più in un giorno. Ora siamo ancora sopra i 2mila nuovi casi in 24 ore. Non capisco che cosa ci sia di diverso oggi rispetto al giorno in cui abbiamo deciso di chiudere tutto».

Si rischia che il coronavirus riprenda la sua corsa?

«Non ci sono dubbi: con la riapertura il rischio è elevatissimo. Gli italiani hanno fatto enormi sacrifici che al momento hanno evitato che ci fossero ancora più vittime ma se si riprende così, nel disordine quei sacrifici saranno vanificati e dovremo ricominciare da capo»

Se potesse decidere come si muoverebbe?

«Si potrebbe riaprire già domani ma in modo ragionato ovvero non tutti insieme e soprattutto non nelle regioni dove i contagi sono ancora moltissimi e la percentuale di crescita è sostenuta. Io aprirei soltanto in 2 al massimo 3 regioni con diffusione bassa del virus. Per esempio in Sardegna che è isolata poi in un'altra regione al sud sempre con un numero basso di contagiati. Poi necessariamente in una regione del Nord per studiare che cosa succede anche nel caso di un'area ad alta industrializzazione. Io sceglierei il Veneto perché ha queste caratteristiche e qui il contenimento del virus ha funzionato meglio rispetto alla Lombardia o al Piemonte. Si riapra a scaglioni e per una settimana studiamo che cosa succede nelle aree prescelte. Se dovessero esplodere nuovi focolai saremmo in grado di circoscriverli concentrando lì tutta la potenza per l'identificazione, l' isolamento e il tracciamento dei positivi e dei loro contatti. Tutto quello che abbiamo imparato in queste settimane. E avremmo un modello per capire meglio il comportamento del virus».

Anche le misure di contenimento collettive ed individuali devono essere le stesse in tutto il territorio?

«Non ha senso: il tessuto economico e sociale è profondamente diverso nelle nostre regioni e l'impatto dell'apertura non sarà lo stesso. Non c'è un razionale scientifico alla base di questa scelta, si va avanti a tentativi in modo e dilettantesco».

Il 4 maggio partiranno anche i test sierologici per il rilevamento degli anticorpi

«Non servono a nulla. Come ha ribadito anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità non esiste la possibilità di assegnare patenti di immunità. Non sappiamo se sia possibile ammalarsi di nuovo, non sappiamo per quanto tempo un positivo resta contagioso. I test sierologici hanno un valore statistico ma anche in Fase 2 servono i tamponi. È vero che fotografano soltanto la situazione esistente al momento ma sono utilissimi ai fini dell'isolamento dei positivi non appena vengono individuati».

Giusto l'obbligo di mascherine e guanti?

«Si certo. Ma in quanti sanno come usare questi dispositivi? Anche il rispetto del distanziamento sarà problematico. Meglio avere più cautela adesso per evitare ricadute.

Per le cure mi sembrano promettenti i trattamenti con il plasma dei guariti che stiamo cominciando ad usare anche qui».

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