Cultura e società

La forza delle donne oppresse dall'islam fanatico

Iraniane e afghane non temono di mettere in gioco la propria vita per la libertà

La forza delle donne oppresse dall'islam fanatico

I due grandi fenomeni storici che hanno fatto delle donne iraniane e afghane le eroine della libertà del nostro tempo sono sulle prime pagine e in assoluta evidenza in questo 2022 nella mente e nel cuore della nostra civiltà. Che giovani e anziane si espongano alla prigionia e alla violenza fino alla morte per cambiare la loro condizione prendendo la testa della richiesta di cambiamento del regime, è una novità assoluta. Ieri, Vida Movahed conosciuta nel mondo per una foto del 2017 che la ritraeva col suo velo bianco usato a bandiera è stata arrestata, in prigione per la terza terribile volta. In Afghanistan si allarga il fronte delle mille proibizioni fra cui quella alle ragazze di frequentare le superiori, al bando delle donne delle Ong (19 milioni di bisognosi, 10 milioni di bambini). È magnifico che da parte della parte più oppressa, disarmata e in pericolo del mondo islamico si sollevi un grido tanto preciso: libertà e democrazia. È questa indicazione geopolitica e sociale chiarissima, questa mappa religiosa l'indizio che deve guidare ogni sostegno alle donne in lotta; è questo che manca nei commenti sui media.

Le donne offrono la loro vita in cambio del bene che dalla fine della seconda guerra mondiale è diventato un dovere principale per la nostra civiltà, la libertà nel rispetto dei diritti umani di ognuno: ma loro vanno oltre. La loro lotta affronta una stratificazione che comincia nel 600 dC. Ma noi questo lo ignoriamo, per noi è molto più facile. È nel grande mondo islamico che agisce il pugno di ferro dell'abbigliamento, del ruolo, della presenza sociale, della negazione della cultura: qui sta suscitando una grande rivoluzione, un moto di liberazione che può cambiare il mondo. Certo, si sa, la condizione della donna è problematica in tutto il mondo: ma non facciamo confusione, i grandi storici del Medioriente non la fanno. Bernard Lewis si doleva alquanto del fatto che l'islam sacrificasse la condizione femminile a principi di sottomissione a una visione gerarchica, sprecando la sua migliore risorsa per battere ignoranza e miseria.

La figura maschile si è trasformata da patriarcale in brutale e violenta e le prime vittime ne sono le donne. Vogliamo aiutare? Allora si deve leggere senza paura il Global Gender Act del Wef 2021: i 15 Paesi che si comportano peggio al mondo verso le donne sono musulmani, e così otto dei 10 più pericolosi per la loro vita. Nell'afflato originale dell'islam c'è l'eguaglianza fra gli esseri umani, c'è un riconoscimento nel diritto alla proprietà e all'eredità e della legalità del matrimonio dell'esistenza della donna in quanto soggetto storico, principio che nelle altre religioni monoiteiste poi è stato declinato verso un'eguaglianza reale; invece in molte situazioni le gerarchie religiose e statali hanno usato i testi islamici per imporre comportamenti, discriminazione, regole di abbigliamento, restrizioni legali che negano l'eguaglianza. Questo avviene quando si fa della donna un oggetto degli interessi patriarcali, in cui il concetto centrale è che gli uomini sono superiori alle donne, anzi, valgono il doppio, come la loro testimonianza nei processi, e anche questo è scritto nei testi. Il concetto che vale è quello di una Sura in cui gli uomini vengono definiti «protettori e responsabili» perché «sono superiori». Da qui, si libera una consequenziale dura, prepotente certezza della bontà del dominio maschile, che molti studiosi e molte donne islamici non condividono affatto, ma con cui hanno a che fare, per esempio in Iran e in Afghanistan.

Il nostro mondo è spesso accusato, anche da vari movimenti di donne musulmane, di essere imperialista, etnocentrico, e soprattutto islamofobico. Un aggettivo molto impositivo, che proibisce il ragionamento e la critica dialettica: se l'islam deve essere criticato, proprio come il cristianesimo o l'ebraismo, non c'è motivo di sospendere la discussione. Se per esempio costringe le donne alla schiavitù non è islamofobia criticarlo. Così è per l'oppressione che soffrono e contro cui si ribellano le donne iraniane e afghane. Vogliamo aiutarle: prima di tutto parliamo di loro. Sappiamo anche che il dilemma per le donne islamiche non deve essere sottovalutato. Anche quelle che vogliono restare buone musulmane, non chiedono certo di essere oppresse.

Noi sosteniamo la loro battaglia, ma la maggioranza nelle piazze deve potere togliersi il velo se e quando lo desidera.

Commenti