Politica

La forzista doc che aveva sfidato pure la malattia per amore della politica

L'ardore della passione politica e l'amore viscerale per la sua terra, un carattere "forte come solo le donne calabresi" sanno avere per dirla con Giorgio Mulè, ma senza la verità in tasca, con una simpatia e una ironia spontanea e naturale.

La forzista doc che aveva sfidato pure la malattia per amore della politica

L'ardore della passione politica e l'amore viscerale per la sua terra, un carattere «forte come solo le donne calabresi» sanno avere per dirla con Giorgio Mulè, ma senza la verità in tasca, con una simpatia e una ironia spontanea e naturale. Una vita «dedicata alla militanza, anche a scapito della sua vita privata» come racconta Stefania Prestigiacomo.

Nel giorno della scomparsa di Jole Santelli dalle parti di Montecitorio c'è un dolore, uno stupore che tracima i confini della retorica, dell'appartenenza e della formalità del lutto. La governatrice calabrese aveva lottato senza mettere in piazza la sua malattia come aveva fatto in campagna elettorale. «In una latitudine in cui vige la legge del patriarcato maschile, lei lo aveva fatto con la scimitarra tra i denti» scrive il giornalista calabrese Josef Platarota.

Jole Santelli nasce a Cosenza e si laurea in Giurisprudenza a Roma a 21 anni. Prima di tre sorelle a cui è molto legata, così come ai tre nipoti le cui foto mostrava con orgoglio in Transatlantico. Perché per lei la famiglia era «la base di partenza e l'approdo di ritorno, sempre». Inizia la pratica legale presso lo studio Siniscalchi, poi negli Studi Lagostena Bassi e Previti di Roma. Sin da piccolissima la sua grande passione è la politica, politica di piazza dove andava in compagnia del nonno e dello zio Giacomo Mancini a seguire gli accesi comizi elettorali nella provincia degli anni Settanta e Ottanta. Era vicina ai socialisti, con una passione per Claudio Martelli, ma forte era anche la simpatia per i Radicali con l'adesione ai Club Pannella. Entra molto giovane nell'Ufficio legislativo del Senato e lavora per il gruppo Forza Italia all'iter di modifica dell'art.111 della Costituzione per «l giusto processo». Nel 1996 incontra Marcello Pera con il quale collaborerà fino al 2001, «una persona superiore, moralmente e intellettualmente», diceva.

Arriva il 2001 e l'elezione nella circoscrizione del Tirreno cosentino. «Lei era esordiente» ricorda Maurizio Gasparri. Berlusconi diede come indicazione quella di fare i manifesti blu senza i «faccioni». Lei però era in un collegio uninominale, era giovane e poco conosciuta. «Io le dico: Jole, sei una bella donna, con questo volto comunicativo, fatti subito un manifesto. E lei: Ma Berlusconi ha detto che non si deve fare!. E io: Ma chi vuoi che glielo vada a dire se a Santa Maria del Cedro o a Praia a Mare metti i manifesti con la tua faccia. Alla fine la convinsi a violare questo divieto iconografico e vinse in maniera larga». Poco dopo la sua elezione venne nominata sottosegretario alla Giustizia. «Per me è sempre stata come una sorella minore» ricorda l'ex ministro Roberto Castelli. «Quando fu nominata aveva 30 anni. Mi chiesi: ce la farà a sostenere un incarico così importante? Ci misi pochissimo a realizzare che quel dubbio era immotivato. Apparentemente eravamo agli opposti, lei donna mediterranea, io uomo delle montagne. Davvero in quella fase pensavamo di poter cambiare il mondo o perlomeno la giustizia italiana. Era una donna piena di vita, con uno staff tutto di donne scatenate che andavo spesso a trovare». Di quel periodo Stefania Prestigiacomo ricorda un episodio: «Appena nominata sottosegretario organizzò nel cortile del ministero un ricordo di Giovanni Falcone. Era la prima volta che Falcone veniva ricordato al ministero. Mi chiamò e mi disse: sei siciliana, non puoi mancare».

Forzista doc, ma anche donna del dialogo. Divenne per pochi mesi sottosegretario al Lavoro nel governo di Enrico Letta tranne dare le dimissioni quando la scissione degli alfaniani spostò gli equilibri a sinistra: «Io aderisco a Forza Italia e condivido il progetto di Berlusconi». L'approdo finale è stato quello nella sua regione, quasi a chiudere un cerchio. Si definiva candidata «per destino» e non per scelta. Quando venne chiamata da Silvio Berlusconi disse di no per via della malattia per poi cedere al pressing amorevole del Cavaliere. Al Fatto Quotidiano disse: «Non ho mai nascosto la mia malattia, qui tutti sanno. Io sono in cura presso il reparto di oncologia di Paola. Da noi ci sono medici eccellenti. Le eccellenze in un mare di incompetenza, clientelismo, ignavia annegano come sassolini nello stagno. Io proverò a cambiare». Nelle ultime settimane l'impressione è che «avesse accettato un destino». «Ho una mia abitudine: la sera mi segno con un post-it giallo le cose da fare» racconta un commosso Maurizio Gasparri. «In quello di oggi c'era scritto: chiamare Jole.

Sarà l'unico post-it che conserverò».

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