"Francesco unico. Il Papa che verrà camminerà sulle sue orme"

L'ex assistente di Bergoglio, Monsignor Yoannis Gaid: "Ha vissuto il Vangelo nella concretezza. Il fiume di persone venute a salutarlo dimostra che la sua eredità è viva"

"Francesco unico. Il Papa che verrà camminerà sulle sue orme"

Monsignor Yoannis Gaid, lei è stato segretario particolare di Papa Francesco per 6 anni e mezzo e avete vissuto a Santa Marta. Com'è stato lavorare con lui?

«È molto difficile raccontare sei anni e mezzo in poche parole. Ogni giorno era pieno di momenti, di parole, di gesti di Papa Francesco. Anche per noi che vivevamo con lui e condividevamo tutto, ogni momento era una sorpresa. Un'esperienza che cambia la vita. Stare con Papa Francesco è come andare a scuola: imparare ogni giorno qualcosa di nuovo».

Cosa la colpiva del suo carattere?

«La cosa straordinaria di Papa Francesco è che la sua vita privata era identica a quella pubblica. Mi viene in mente quel giorno in cui l'ascensore si è bloccato. Siamo rimasti dentro per più di 40 minuti, in uno spazio piccolissimo. Eppure il Santo Padre, in piedi, ha vissuto quel momento con grande serenità. Non si è agitato, non si è lamentato. È rimasto calmo, come sempre, anche in situazioni complesse a livello ecclesiale, mondiale o personale».

In quei 40 minuti immagino abbiate parlato molto...

«Certo, è stato un momento intimo e particolare. Tutto il mondo si era preoccupato perché a mezzogiorno il Papa non era apparso in piazza. Ma appena uscito, ha raccontato tutto con il suo solito spirito. Questa sua capacità di comunicare con naturalezza, di mettere tutti a proprio agio era unica».

Pregava ogni giorno la preghiera di San Tommaso Moro per il buon umore.

«Una volta, durante il Covid, portai la comunione a una signora anziana che non riusciva più a parlare bene. Voleva ringraziarmi, ma disse una parola completamente fuori luogo, in modo del tutto involontario. Lo raccontai al Papa, lui ci scherzava su ogni volta che ci vedevamo».

Uno dei suoi ultimi gesti è stato una donazione importante.

«Sì, donò 200mila euro a un carcere. Ma questo non è stato un caso isolato. Per tutto il pontificato, in modo riservato, Papa Francesco ha fatto gesti concreti verso i più bisognosi. Era un uomo estremamente generoso. Ma anche deciso. Quando notava mancanza di trasparenza o situazioni non corrette, sapeva arrabbiarsi. Accarezzava, abbracciava, ma sapeva anche essere fermo quando serviva. Questa è la sua grandezza: bontà e determinazione insieme, sempre al servizio della sua visione di Chiesa».

Lei lo ha accompagnato nei viaggi nei Paesi arabi. Si è creato un legame forte con il mondo islamico?

«Era un uomo del dialogo, capace di avvicinare cristiani e non cristiani. Non sorprende che oggi anche il mondo non cristiano lo rispetti così tanto. Era un uomo di pace».

Si interessava anche dei progetti in Egitto per i bambini meno fortunati?

«Non solo si interessava: mi ha affidato personalmente la missione di trasformare il Documento sulla Fratellanza Umana in qualcosa di concreto. Da lì è nato un orfanotrofio in Egitto, che accoglierà bambini cristiani e non cristiani, il primo progetto del genere nel mondo islamico. Ha seguito da vicino anche le attività dell'Associazione Bambino Gesù del Cairo e il progetto dell'ospedale, con il sostegno dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma. A novembre ha benedetto due cliniche mobili che ora, all'ospedale italiano del Cairo, offrono gratuitamente visite, medicine e interventi per bambini bisognosi. Ha persino aperto un ristorante con le autorità egiziane per aiutare i poveri».

Una delle cose che ha colpito tanti fedeli, nel vedere Papa Francesco nella bara prima dei funerali, sono le scarpe nere. Scarpe da uomo semplice, da uomo che ha camminato tanto.

«Sì, quelle scarpe sono un simbolo fortissimo. Come ci raccontava spesso: Ci sono cose che io le ho fatte per anni e anni non credo che a questo punto, alla mia età, possa cambiare. Una di queste era proprio portare quelle scarpe semplici. Scarpe che raccontano un Papa che ha camminato, che ha vissuto accanto alla gente. E camminava davvero tanto. La vita con lui era una corsa continua: dalle quattro e mezza del mattino fino alle undici di sera. Noi eravamo in quattro, giovani, e a metà giornata eravamo distrutti. Lui, invece, era quello che correva. E noi dietro a dire: Non possiamo fermarci, dobbiamo seguirlo».

Qual è la cosa più bella che le ha detto in questi anni?

«Non è una frase, ma un gesto. Quando il Papa è venuto in Egitto nel 2017, gli chiesi se poteva salutare la mia famiglia. Lui mi disse subito: Ovviamente sì. Io vengo da una famiglia numerosa, e il Papa ha iniziato a salutare uno a uno poi mi ha guardato e ha detto: Questa non è una famiglia è una tribù!. Finite le presentazioni ufficiali, ha voluto tornare indietro. Ha abbracciato mio padre e mia madre. Poi mi ha detto con voce calma: Tuo padre non sta bene. Io rimasi sorpreso, stava benissimo. Ma qualche mese dopo, a dicembre, mio padre ci ha lasciati. Quel momento, quel gesto, non lo dimenticherò mai».

Qual è, secondo lei, l'eredità che lascia Papa Francesco?

«Un'eredità immensa. La Chiesa non sarà più la stessa dopo Papa Francesco. Anche i Papi che verranno cammineranno sulle sue orme, continueranno quelle riforme che lui ha avviato, tante già iniziate, ma molte ancora da compiere.

La sua è l'eredità di San Francesco: vivere il Vangelo davvero, nella povertà, nella semplicità, nella concretezza dei gesti quotidiani. Vedere questo fiume di persone che da tutto il mondo sono venute a salutarlo, dimostra che questa eredità è reale. È viva. E continuerà per anni e anni. Alla fine possiamo solo dire: grazie. Grazie, Papa Francesco».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica