S arà anche vero, come scriveva il francese Romain Gary, che «il patriottismo è l'amore dei nostri. Il nazionalismo l'odio degli altri», ma lo spettacolo del Parlamento di Francia (...)
(...) che al Palais-Bourbon intona La Marsigliese è pura, e nobile, retorica di patria proprio perché pura e nobile retorica nazionale. Il resto, i distinguo semantici, fa parte degli arsenali di un'altra retorica, meno pura e meno nobile, che è quella della politica e delle ideologie, dove l'arte oratoria arriva a esprimersi al suo meglio proprio nel dare il suo peggio. Perché non ammetterlo? Ho provato invidia per quei parlamentari, per quell'identità nazionale, per l'orgoglio e la fierezza di appartenere a un popolo che nell'età moderna ha dato e fatto molto, quasi tutto, nel mondo.
Lo dico da italiano che non se la può permettere, che quando ha tentato di rivendicarla ha conosciuto la tragedia e, da allora, ha scelto la commedia e spesso e volentieri la farsa. «I popoli in ascesa non hanno dialetti» diceva Ennio Flaiano. Aveva ragione, e che ora l'abbia capito anche Matteo Salvini non cambia nulla, è troppo tardi: gli italiani non ascendono da nessuna parte, sono arrivati al capolinea della loro storia nazionale, non capiscono più perché si debba stare insieme, in nome di che cosa, per conto di chi. Il fatto è che non si convive solo per i ricordi. Ernest Renan, un altro francese, va da sé, lo aveva capito benissimo, più di un secolo fa. «Una nazione è un principio spirituale, risultante da profonde complicazioni della storia, non un gruppo determinato dalla configurazione del suolo. Due cose la costituiscono: una è nel passato, l'altra nel presente. L'una è il possedere in comune una ricca eredità di ricordi; l'altra è il desiderio di vivere insieme, la volontà di continuare a far valere l'eredità che, indivisa, si è ricevuta. Avere delle glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente; aver fatto delle grandi cose insieme, volerne fare ancora... L'esistenza di una nazione è un plebiscito quotidiano». Di tutto ciò, naturalmente, in Italia non v'è traccia, e questo spiega perché non vi sia più traccia, o quasi, d'Italia.
Se lo Stato è la sintesi politica di un popolo, se la politica è la forma nella quale una nazione si realizza, abbiamo poche speranze. È l'idea stessa di Stato che in un sessantennio e passa abbiamo prosciugato dal di dentro. La salvezza della Francia sta nel fatto che trova sempre qualcuno che la incarni. La incarni, non ne prenda il posto. Dal re San Luigi al generale de Gaulle, è il racconto di un'immagine, un fantasma, se si vuole, che aleggia sempre e non scompare mai. Nemmeno una mediocrità politica come François Hollande è in grado di farla svanire ed è quell'immagine e quel fantasma che in questi giorni ha dato a Hollande quell' allure che non gli è propria, una dignità che ignorava di avere.
Da noi vanno gli Uomini della Provvidenza, e bisogna rassegnarsi, anche perché la Provvidenza è sempre più distratta. L'ultimo in ordine di tempo sembra essere Matteo Renzi, i suoi insopportabili cappottini, l'orribile blu elettrico dei suoi vestiti, il «gimmefive» cialtronesco della sua gestualità, la logorrea compiaciuta del battutista che ha vinto, lui sì, la lotteria di Capodanno del Governo.
Ce lo stiamo facendo andare bene per stanchezza, per rassegnazione e per paura, perché siamo un popolo stanco rassegnato e impaurito che ha smesso di essere una nazione, finge di essere uno Stato, aspetta sempre e comunque lo straniero di turno che lo tolga dai pasticci. En attendant , accetta la quarantena democratica a opera di una classe politica che ha scambiato Roma per Bisanzio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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