I l M5s vuole la testa dei ministri della Difesa, Elisabetta Trenta, ed Esteri, Enzo Moavero Milanesi. Martedì scorso c'è stata, in una saletta di Montecitorio, una riunione carbonara tra una quindicina di parlamentari grillini e i sottosegretari pentastellati Angelo Tofalo (Difesa) e Manlio Di Stefano (Esteri): più che un incontro è stato un processo in piena regola contro la linea del governo Conte su politica estera e difesa. La fronda grillina chiede un cambio di rotta: i deputati hanno messo nero su bianco il proprio dissenso rispetto alla politica estera della maggioranza gialloverde. Linea che avrebbe sconfessato le battaglie storiche del Movimento. Sono tre gli atti d'accusa che i parlamentari dei Cinque stelle muovono contro i ministri Trenta e Milanesi: l'appiattimento sulle posizioni della Lega in politica estera, la subalternità agli Stati Uniti e la retromarcia sull'acquisto degli F35. La copertura politica all'iniziativa frondista è stata garantita da Alessandro Di Battista: l'ex parlamentare dei Cinque stelle in privato, ma ora anche pubblicamente con l'uscita sull'arresto di Julian Assange, ha preso le distanze dall'esecutivo. Distanza che avrebbe dato forza ai parlamentari, spingendoli a muovere l'accusa contro Tofalo e Di Stefano: i due rappresentanti del M5s non hanno saputo, fino ad oggi, imporsi, difendendo le battaglie pentastellati, su politica estera e difesa. Il sottosegretario Tofalo è finito sul banco degli imputati dopo la giravolta sull'acquisto degli F35: negli ultimi cinque anni il Movimento ha sostenuto l'inutilità del programma F35. Ma una volta al governo, Tofalo li ha riabilitati, sostenendone l'importanza. Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura, presente al vertice, ha contestato al collega di governo il dietrofront sugli F35. Ma tante sono state le voci critiche su un altro punto: la subalternità alla politica estera di Washington. Libia, Venezuela, Assange: il governo non è stato in grado fino ad oggi di far sentire il peso delle idee dei Cinque stelle. Colpa di una maggior forza (ed esperienza) dell'alleato leghista di dettare l'agenda su esteri e difesa.
Sul rapporto tra Italia e Stati Uniti, la fronda grillina ha trovato la sponda nel sottosegretario Di Stefano. Due le opzioni messe sul tavolo dai dissidenti: una virata a 360 gradi del governo, non sarà semplice superare l'ostacolo del Carroccio, o il benservito ai ministri Trenta e Milanesi. Ma se per il titolare della Difesa l'operazione è fattibile, con il ministro degli Esteri sarà difficile ottenere un cambio. Visto che Moavero Milanesi gode della tutela del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Però ora il capo politico del M5s ha un problema in più da gestire: la richiesta della fronda di silurare due componenti del governo. Con il rischio che lo scontro, tra dichiarazioni e minacce, possa esplodere nel bel mezzo della campagna elettorale per le europee.
Il vicepremier avverte il pericolo di un altro strappo che possa miniare le basi, già fragili, della maggioranza. E ieri Di Maio, parlando della Libia, ha provato a gettare acqua sul fuoco: «Lavoriamo come squadra anche sulla Libia. Non serve che un ministro prenda iniziative e sondi altri Paesi europei.
Il presidente del Consiglio, quello degli Esteri e al massimo quello della Difesa hanno le competenze e le prerogative per affrontare il dossier. Lavoriamo in modo compatto, perché almeno il tema libico non entri in campagna elettorale ma faccia parte dell'azione sinergica e compatta di questo Governo». Un appello a deporre le armi. Almeno in vista del voto.
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