Il fronte anti-Draghi si allarga: dal M5s a Fi fino a Lega e mezzo Pd. L'irritazione dell'ex Bce

Il premier sperava nelle prime tre “chiame” ma i tempi sembrano allungarsi (con il rischio caos). La tela di Franceschini e chi tifa ancora per il bis

Il fronte anti-Draghi si allarga: dal M5s a Fi fino a Lega e mezzo Pd. L'irritazione dell'ex Bce

Al fischio d'inizio mancano ancora più di 24 ore. Eppure, nonostante la partita non sia ancora iniziata, la fase di riscaldamento registra un'inattesa frenata di quello che è al momento l'unico vero candidato in corsa per il Colle. Siamo ancora alla pretattica, certo. Ma è un dato che la giornata di ieri sia stata caratterizzata da un'imprevista saldatura del fronte di chi auspica che Mario Draghi resti a Palazzo Chigi. O che, detto senza girarci intorno, metta da parte le sue aspirazioni quirinalizie.

Un primo segnale arriva in mattinata, mentre Giuseppe Conte presiede la cabina di regia del M5s in attesa della riunione con i grandi elettori del Movimento in programma oggi. Un incontro nel quale si sarebbe registrata una certe freddezza sul nome di Draghi, non per un giudizio di merito sull'ex numero uno della Bce, quanto per il timore che i gruppi parlamentari grillini possano sfaldarsi e muoversi in ordine sparso davanti all'ipotesi di un cambio di governo (conseguenza inevitabile se il premier traslocasse al Colle). Senza contare il non detto di Conte, che certo non può essere entusiasta nell'immaginare che Draghi - con cui i rapporti sono, anche umanamente, pari a zero - sieda al Quirinale per i prossimi sette anni.

Passano alcune ore e da un'area politica decisamente distante dal M5s arriva uno stop ben più netto. «La linea di Forza Italia è che Mario Draghi non vada al Quirinale e rimanga a Palazzo Chigi, dove è inamovibile», dice il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani. Che aggiunge: «Nel governo non ci devono essere né rimpasti, né nuovi ingressi». Per il numero uno della Bce è uno stop inatteso. Perché non è affidato allo spin di una riunione allargata dei vertici del M5s, ma sono le parole - praticamente in chiaro - del numero due di Forza Italia. Seguite, a stretto giro, da una lunga nota di Silvio Berlusconi. Che sì, si chiama fuori dalla corsa per il Colle, come a Palazzo Chigi speravano e aspettavano da giorni. Ma lo fa ponendo di fatto un gigantesco veto sul nome di Draghi. Il leader di Forza Italia, infatti, dice che la sua è una scelta fatta in nome della «responsabilità nazionale». E che, proprio per lo stesso principio, Draghi deve rimanere a Palazzo Chigi per «completare la sua opera fino a fine legislatura».

Il premier, che già non aveva accolto con troppo entusiasmo le parole di Tajani, pare - per usare un eufemismo - non abbia affatto gradito. Con buona pace di una giornata che sarebbe dovuta essere di decompressione, nel suo buen retiro umbro di Citta della Pieve come spesso accade nel fine settimana. D'altra parte, l'attesa frenetica per le parole di Berlusconi in queste ultime 48 ore nascondeva la speranza che il leader di Forza Italia decidesse, alla fine, d'intestarsi il suo nome e metterlo sul tavolo della corsa al Colle. Invece, non solo non lo ha fatto. Ma anche deciso di mettersi pesantemente di traverso.

Un'azione di disturbo che potrebbe avere conseguenze importanti. Non c'è dubbio, infatti, che l'ex Bce sia il nome più autorevole che l'Italia può spendere per il Quirinale. Ma non vanno sottovalutati i fattori che in queste ore remano contro Draghi, spinte diverse che si vanno saldando. Non solo Berlusconi e Conte - seguito da buona parte del M5s - ma anche Matteo Salvini. Che, certo, non vede in Draghi la sua prima scelta per il Quirinale. I rapporti tra i due, infatti, non sono mai stati semplici. Mentre, altro elemento, l'ex Bce ha una buona sintonia con Giorgia Meloni, nonostante FdI sia l'unico partito all'opposizione. Non è un caso che ieri sera proprio Fratelli d'Italia abbia tenuto a precisare che, pur non essendo certo il suo candidato al Colle, non pone alcun veto su Draghi. A differenza di mezzo Pd, quello che fa capo ai ministri Andrea Orlando e Dario Franceschini. Il secondo, soprattutto, particolarmente attiva in questo giorni in cui tutto ha fatto fuorché muoversi per Draghi. D'altra parte, non è un mistero che i rapporti tra i due siano più che freddi.

Insomma, per Draghi è decisamente un sabato difficile. Nonostante la passeggiata mattutina con il suo bracco.

Il suo resta certamente il nome più forte per il Quirinale. Ma, forse, da ieri è iniziata a tramontare la speranza di farcela nelle prime tre votazioni. Restano la quarta, forse la quinta. Perché dalla sesta in poi c'è solo il caos. Oppure il Mattarella bis.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica