Il fronte «No Donald»? Banche, Wall Street e i colossi della rete

I giganti dell'economia Usa si compattano contro la Casa Bianca «che tradisce i valori»

L'obiettivo dichiarato di Donald Trump con la sua politica protezionistica è il rilancio della produzione nazionale con annesso recupero di posti di lavoro negli Stati Uniti. Eppure, giorno dopo giorno si va delineando un nuovo fronte di nemici del nuovo presidente, e si tratta proprio delle grandi aziende americane. L'occasione l'ha fornita l'ormai celebre bando presidenziale che vieta l'ingresso negli Stati Uniti per alcuni mesi a immigrati e rifugiati provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana considerati a rischio per la sicurezza nazionale. Ha dato il via alle proteste Silicon Valley, il distretto californiano dell'hi-tech e dell'innovazione che dopo la sgradita elezione di Trump alla Casa Bianca aveva tentato di ricomporre i rapporti ma che considera il blocco dell'immigrazione da alcuni Paesi come un segnale grave di incomprensione delle esigenze di un settore trainante dell'economia americana.

Grandi aziende come Apple, Tesla, Microsoft, Airbnb, Google e Facebook - da sempre abituate ad arruolare all'estero personale giovane e motivato - sono solo le più note tra quelle che hanno pubblicamente preso le distanze dalla decisione di Trump. Dopo giorni di contatti tra i vertici, si è deciso di passare all'azione e ieri si è svolto un incontro tra i numeri uno (o in qualche caso i loro vice) per coordinare un sostegno all'offensiva legale lanciata dal procuratore dello Stato di Washington contro l'iniziativa presidenziale. Erano attesi personaggi del calibro di Mark Zuckerberg, Tim Cook (il successore di Steve Jobs alla guida di Apple che la sera prima era stato visto a cena con Ivanka Trump e il marito Jared Kushner, consiglieri del presidente), Sergey Brin, Elon Musk e Jeff Bezos.

Ma non è solo Silicon Valley a insorgere contro il presidente degli Stati Uniti. Un coro di critiche si è levato anche dalle dirigenze di colossi dell'economia Usa, che sottolineano il loro disaccordo rispetto alla gestione che fa Trump dei diritti individuali e più in generale dei valori tradizionali americani. Così Mark Fields e Bill Ford, amministratore delegato e presidente della casa automobilistica Ford, ricordano che «il rispetto per tutta la gente è un valore fondante alla Ford Motor Company, orgogliosa della sua ricca diversità in patria e nel mondo»; Jeff Immelt - Ceo di General Electric - ricorda che dipendenti e clienti provenienti dai 7 Paesi inclusi nel bando «sono amici e partner cruciali per il nostro successo», mentre il numero uno di Starbucks, Howard Schultz, si è impegnato ad assumere nei prossimi cinque anni diecimila rifugiati nei 75 Paesi in cui opera la famosa catena di caffetterie.

Critiche sono piovute anche da Wall Street, un fatto che colpisce se si considera che Trump ha promesso riduzioni fiscali e deregulation al mondo delle banche e della finanza.

Siluri al presidente sono arrivati da colossi come JP Morgan Chase, Wells Fargo e BlackRock, mentre stupisce meno il colpo sparato dal numero uno di Goldman Sachs Lloyd Blankfein, generoso finanziatore della campagna di Hillary Clinton.

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