L'ultimo libro di Vittorio Emanuele Parsi è prezioso e necessario. Il posto della guerra e il costo della libertà fa razionale giustizia di una quantità di luoghi comuni ed equivoci penosi che imperversano, soprattutto in Italia, in questo 2022 segnato dall'aggressione militare russa all'Ucraina. In primo luogo quello secondo cui può esistere, e anzi sarebbe moralmente giustificabile, una pace senza libertà da imporre agli ucraini in cambio di un ipotetico ma in realtà impossibile, e Parsi lo dimostra ritorno a ciò che l'Europa è stata prima dello scorso 24 febbraio. Il libro non è solo un'analisi lucida di ciò che c'è in gioco la sopravvivenza stessa dei valori democratici messi sotto attacco a livello globale dall'alleanza russo-cinese - ma anche un'esortazione a comprendere che, poiché Putin ha deciso di interrompere 77 anni di pace europea, siamo costretti a riconsiderare l'idea stessa che abbiamo della guerra: in altre parole, siccome la democrazia non è gratis, se non la difenderemo noi nessun altro lo farà.
Professor Parsi, perché afferma che il punto non è «fermare la guerra» bensì «salvare la democrazia»?
«Perché esiste un rapporto sostanziale reciproco tra le istituzioni dei Paesi democratici e quelle delle istituzioni internazionali. Se l'egemonia passasse alle autocrazie, verrebbe meno un intero sistema di valori».
Come risponde a chi afferma che la Nato avrebbe «abbaiato ai confini russi» e sarebbe quindi responsabile della guerra all'Ucraina?
«La Nato non aggredisce nessuno, è un'organizzazione difensiva. Tutti i Paesi dell'Europa orientale che vi hanno aderito lo hanno fatto per libera scelta. Nessuno di loro si è rivolto alla Russia, il cui regime basato sulle menzogne non ha capacità attrattiva e i cui difetti essi ben conoscono».
Nel libro evidenzia il ricatto economico di Putin e il «disegno orwelliano» che ha in serbo per noi...
«È un elemento di debolezza dell'Occidente aver creduto che la crescita dei commerci favorisca l'avvicinamento tra i Paesi. Questo purtroppo non vale per quei Paesi autoritari in cui il potere politico coincide con quello economico, il quale diventa così un'arma per trasformare la vulnerabilità economica in sottomissione politica».
Lei critica, pur senza far nomi, il ruolo di «propagandisti prezzolati» delle autocrazie...
«Mi colpisce che chi era un attento cane da guardia delle responsabilità occidentali ad esempio in Irak, oggi si accucci volentieri sulle ginocchia di Putin che aggredisce l'Ucraina. Così dimostrando di agire per pregiudizio anti-occidentale. Ciò detto, è vero che in Irak abbiamo sbagliato e che figure come Bush e Blair meritavano la censura per i loro errori».
Cosa direbbe a chi afferma che l'Ucraina non ci riguarda?
«Che la nostra libertà ha un costo. Che il costo per sostenere Kiev è alto, ma quello del rischio del crollo dei principi fondativi del nostro sistema in caso di vittoria russa è molto superiore».
Perché in Italia tanti non capiscono la differenza tra vivere liberi e non liberi?
«Siamo così concentrati sui nemici interni da non capire la gravità delle minacce esterne. La democrazia italiana non durerebbe più di due-tre anni senza connessione con le istituzioni europee e occidentali».
Come finirà la guerra?
«Finirà in primavera, quando a Mosca capiranno che nessun obiettivo in Ucraina è stato
conseguito. Che l'Ucraina resiste, che Svezia e Finlandia entrano nella Nato, che la Cina sceglierà l'ordine internazionale. La pace verrà col ritiro russo dalle terre occupate nel '22 e con un negoziato su quelle prese nel 2014».
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