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"A gennaio ci sarà la verifica". Il Conte-bis ormai è alla frutta

Il premier promette un «cronoprogramma» per tirare a campare. Ma tra un mese l'esecutivo può già saltare

"A gennaio ci sarà la verifica". Il Conte-bis ormai è alla frutta

In tre mesi di Conte bis siamo già al «cronoprogamma» e alla «verifica di governo», termini che di norma equivalgono ai titoli di coda di una maggioranza. Una fetta del Pd vuole chiudere l'esperienza di governo e per bocca di Goffredo Bettini, eminenza grigia della corrente che fa capo al vicesegretario Andrea Orlando, manda ultimatum al premier («Serve una verifica di governo, non possiamo stare sospesi ogni giorno tra Di Maio e Renzi»). Conte risponde citando l'Ecclesiaste («Io ritengo che ogni cosa abbia il suo tempo») e rispolverando il vocabolario da prima repubblica con la promessa di un «cronoprogramma» da condividere con i partiti di governo. Formula che vuol dire tutto e niente, ma che serve per tirare a campare ancora un po'. «Il governo deve andare avanti, a gennaio stiliamo una lista delle priorità» promette Di Maio. «É il modo giusto per ridare sicurezza e speranza a chi vive in questo a paese. Chiudiamo bene la manovra economica. Poi, con il presidente Conte, lavoriamo ad una nuova agenda 2020 per riaccendere i motori dell'economia» rilancia il segretario Pd Nicola Zingaretti. Peccato che il sentiment degli italiani sia pessimo, solo un misero 0,3% - accerta l'ultimo European Social Survey - si ritiene «molto soddisfatto» dall'andamento dell'economia, mentre per il 64% l'esecutivo non terminerà la legislatura, addirittura finirà entro la primavera prossima per il 28% (sondaggio questo di Ipsos). Con le diverse anime del governo in lite quotidiana tra loro su tutti i dossier (giustizia, tasse, Ilva, Mes), con la competizione tra Di Maio e Conte, quella tra Renzi e il suo vecchio Pd per contendersi l'elettorato di sinistra (e c'è pure Calenda che scalpita), la domanda che tutti si fanno è: ma quanto può durare una situazione del genere?

Una vecchia volpe della politica come Pierferdinando Casini (ebbene sì, è ancora parlamentare, dopo 37 anni di fila) suggerisce di non dare troppo peso alle schermaglie sulla legge di bilancio («Capita sempre durante le leggi di stabilità») ma piuttosto alle mine pronte ad esplodere in seno alla maggioranza. «Da una parte c'è Renzi ha bisogno di visibilità» e quindi un giorno sì e l'altro pure lavora a fianchi gli alleati in stile «Giuseppe stai sereno», nel caso anche minacciando elezioni che Italia Viva per prima non vuole («Se si tratta di stare insieme per litigare da mane a sera, allora meglio il voto»). Dall'altra ci sono i Cinque stelle, primo partito per numeri in Parlamento e quindi pilastro della brigata giallorossa: «Il governo tiene se i 5 stelle tengono, se invece il M5s va in ordine sparso, allora abbiamo un problema» avverte Casini, già noto come Pierfurby. E nel M5s ci sono ormai più correnti che nel Pd. Grillo si è fatto garante della nuova fase di sinistra del Movimento, nell'orbita del Pd, mentre Di Maio - supportato da Di Battista - non condivide la rotta e sospetta manovre di Conte per spodestarlo dentro il M5s. Poi c'è Fico, da sempre più filo-Pd, che si augura nulla cambi fino al 2023 («Per il bene del Paese la legislatura duri cinque anni»), senza contare la truppa di peones e grillini non ricandidabili pronti a cambiare casacca pur di non tornare a casa.

Insomma una tale attività sismica sotto la superficie del Conte bis, da farne un governo ormai alla frutta. Al di là dei «cronoprogrammi» e dei «motori dell'economia» da riaccendere, una data di scadenza per il governo c'è ed è il 26 gennaio, giorno delle regionali in Emilia Romagna.

Un rovescio del Pd nel cuore dell'Italia più rossa sarebbe la scossa finale per il ciuffo del Conte bis.

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