Politica

Gennaro Malgieri: "Quella volta in cui Almirante omaggiò Togliatti"

Dal primo discorso a Montecitorio, con Togliatti che per "sfidarlo" rimase in piedi, fissandolo, in mezzo all'emiciclo, al gesto distensivo dopo la morte di Berlinguer. Uno dei più autorevoli intellettuali della destra italiana racconta il suo rapporto personale con il leader del Msi, Giorgio Almirante

Gennaro Malgieri: "Quella volta in cui Almirante omaggiò Togliatti"

Storico direttore del Secolo d’Italia, parlamentare della destra italiana per tre legislature e soprattutto fine intellettuale conservatore ("uno degli ultimi" dice lui con ironia), ​Gennaro Malgieri ci racconta com'era il leader del Movimento sociale italiano, Giorgio Almirante, visto da vicino.

Chi furono i padri fondatori del MSI oltre ad Almirante?

“Il 26 dicembre, nello studio del padre di Artruro Michelini, in Corso Vittorio Emanuele a Roma, con Pino Romualdi, oltre a Giorgio Almirante, si ritrovarono Biagio Pace, Giacinto Trevisonno, Mario Cassiano, Giovanni Tonelli. Una pattuglia di uomini con l’ambizione di fondare un partito cui venne dato il nome di Movimento Sociale Italiano. Erano per lo più giovani reduci della Rsi che presero l’iniziativa. Molti erano quadri del Pnf e dirigenti a vario titolo. Spiccava la figura di Romualdi che era stato vice segretario del Partito fascista repubblicano. La segreteria organizzativa venne affidata a Trevisonno per breve tempo e poi, unitamente a quella politica, fu scelto Almirante, che era stato capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma al ministero della Cultura. Tra i primi aderenti ricordo Roberto Mieville, Gianni Roberti, Ernesto De Marzio, Augusto de Marsanich, Ernesto Massi, il giurista Carlo Costamagna, Giovanni Volpe, figlio del grande storico Gioacchino ed altri che animavano iniziative politiche, culturali ed editoriali che confluirono in tempi diversi nel neonato partito”.

Quanto ha pesato sulla destra italiana l'eredità del fascismo?

“Molto. Se non ci fossero stati quei reduci a cui ho fatto riferimento non sarebbe nata, sia pure molti anni dopo, poiché all’inizio dell’avventura nessuno si azzardava a definirsi di destra o a rivendicare alla destra l’appartenenza di un movimento simile. Era un mondo largamente composito, ma identitariamente fascista, non di destra né di sinistra, con una sua fisionomia politica molto precisa, certamente, ma lontana dalle tradizionali caratterizzazioni partitiche”.

Come per il Pci anche per il Msi vigeva la “conventio ad excludendum”. Tuttavia molti voti missini servirono per eleggere capi di Stato e presidenti del Consiglio.

“La storia è molto diversa. Il Pci, che già era stato al governo nell’immediato dopoguerra, faceva parte a pieno titolo dei gruppi dei partiti costituzionali. Certo, era all’opposizione per le ragioni che sappiamo, a cominciare dal suo legame con l’Unione Sovietica e per il ruolo di primo piano esercitato da Togliatti nell’Internazionale comunista. Insomma, faccio fatica a ritenere che nei suoi confronti sia stata esercitata una "conventio ad excludendum" come invece è stato per il Msi. Il partito di Almirante e Romualdi, sotto la regia di Michelini negli anni Sessanta, comunque, ebbe un ruolo decisivo nell’appoggiare dall’esterno governi e leggi centriste in funzione anticomunista. Il governo Tambroni ebbe il sostegno diretto del partito con le conseguenze che sappiamo: l’organizzazione della rivolta da parte dei comunisti in occasione del congresso missino di Genova nel 1960”.

Come nasce la sua adesione al Msi?

“Nasce il 18 luglio 1970 quando mi accolsero nella sezione del Movimento Sociale italiano del mio paesello, Solopaca, in provincia di Benevento. Mi ammisero alla frequentazione e, barando sull’età, riuscii ad ottenere anche la tessera: avrei compiuto diciotto anni dodici mesi dopo. Avevo già letto quel che dovevo leggere per sapere da che parte stare. Poi il resto è venuto di conseguenza. Amavo gioiosamente i vinti, ma quella gente semplice dalla quale imparai i primi rudimenti della politica neppure per un’ora si è mai sentita vinta. Non dimentico un volto e a loro ho pensato quando s’è dissolta la destra: non in un giorno, ma in un tempo lunghissimo che non è ancora finito. La tristezza, dunque, continua”.

Quando incontrò per la prima volta Almirante?

“Nella primavera del 1970. A Bojano, un comune del Molise. Si era in campagna elettorale. Una folla impressionante lo accolse. Ed aspettava che qualcuno introducesse il comizio del segretario. Possibilmente un giovane. Nessuno se la sentì. Io fui letteralmente spinto sul palco dai dirigenti del partito provenienti come me da Benevento, consapevoli che quattro parole in fila le avrei sapute mettere. Arrossisco ricordando quel giorno di cinquantadue anni fa. Non ebbi la più piccola esitazione. Venne fuori un discorsetto che fu accolto con calore e la visibile soddisfazione di Almirante dal quale, pochi giorni dopo, ricevetti una lettera di poche righe con la quale mi elogiava e mi ringraziava. Cominciò così la mia avventura nel Msi...”.

Come era il segretario missino visto da vicino?

“Affabile, dotato di un naturale carisma, gran signore perfino quando doveva esprimere il suo dissenso o fare una reprimenda ad un dirigente. Ricordo qualche scambio piuttosto ruvido, ma sempre all’insegna del rispetto. E, per quanto fosse il leader del partito, cercava di capire le ragioni dei suoi interlocutori piuttosto che imporsi con l’autorità del caso. Era intransigente sui principi e disponibile al dialogo. Ciò non vuol dire che evitava di essere intransigente quando era in pericolo l’unità del partito che considerava politicamente come il bene supremo da tutelare”.

Quali erano i reali rapporti tra Almirante e Berlinguer?

“Da quel che so, di grande rispetto. Si incontravano di nascosto, come ha raccontato Antonio Padellaro raccogliendo la testimonianza di Massimo Magliaro, suo storico capo ufficio stampa. Erano preoccupati della dilagante violenza giovanile tra gli opposti schieramenti. Si stimavano, insomma. Ma ho ragione di ritenere che mai dai loro incontri siano nati progetti politici impropri, come accordi sottobanco. Erano diversi, ma entrambi galantuomini. E Almirante testimoniò la sua stima quando, tra lo stupore del popolo comunista, da solo, senza scorta, si recò a rendere omaggio a Botteghe Oscure alla salma del segretario comunista. Un gesto di civiltà che contribuì a cambiare i rapporti tra gli avversari”.

Può raccontarci un aneddoto su Almirante?

“Sono tanti. Ma voglio attingere alle sue stesse memorie per ricordare la sua umiltà. Davanti ad una Camera dei deputati che attende il primo discorso del capo dei neofascisti, Almirante, ritenendo di fare qualcosa che assomigliasse ad un comizio, recita la sua orazione avendola imparata a memoria: poco efficace, poco convincente. Il capo della fazione avversaria, Togliatti, incuriosito, si alza dal suo scranno e si piazza nel mezzo dell’emiciclo fissandolo con un lieve sorriso a braccia conserte, quasi per destabilizzarlo o intimorirlo. Almirante capisce che il Parlamento non è una piazza e, consapevole di aver sbagliato discorso, chiude promettendo a se stesso che avrebbe cambiato registro. Una volta mi disse: “Debbo a Togliatti, alla sua silenziosa provocazione, se ho imparato a parlare nei luoghi istituzionali”. Un omaggio al “nemico” che gli fa onore”.

Almirante è stato uno dei sostenitori a partire dagli anni '70 del presidenzialismo. Tema attualissimo.

“A dire la verità, il presidenzialismo nasce nel dopoguerra con il Msi. Il più lucido assertore a destra fu Carlo Costamagna che lo teorizzava sul giornale “La rivolta ideale”. Almirante ne ha fatto la bandiera del partito fin da quando riassunse la segreteria nel 1969. È entrato, grazie a lui, nel lessico e nel dibattito politico. Ci sarebbe molto da dire al riguardo. Ricordare, comunque, che fu lui, insieme con Pacciardi e gli azionisti Valiani, Calamandrei, i cattolici come Mario Segni, a tenere viva la prospettiva presidenzialista. Non sarebbe male, soprattutto di questi tempi, mentre i sondaggi di opinione attestano che l’elezione diretta del capo dello Stato è sostenuta dalla maggioranza degli italiani”.

Quali legami aveva con i leader della destra europea?

“Ottimi. Fu lui a creare l’Eurodestra ancor prima della elezione diretta del Parlamento europeo nel 1979. Mise insieme il francese Tixier de Vignancour, lo spagnolo Blas Pinar, e poi Jean Marie Le Pen, il greco Dimitriadis per sostenere l’idea dell’Europa nazione, antica idea di un altro grande europeista: Filippo Anfuso. Da tutti era riconosciuto come il leader di una destra europea che aveva l’ambizione di difendere la propria identità e di non farsi stritolare dai due imperi che egemonizzavano il pianeta”.

In Italia si è parlato e scritto spesso di rapporti tra Almirante e figure come Junio Valerio Borghese, Licio Gelli e ambienti della destra eversiva. Lei cosa ne pensa?

“Con Borghese altalenanti da quello che so. Con Gelli non mi risulta, ma potrei sbagliarmi: chi non lo ha incontrato negli anni in cui furoreggiava? Con la destra eversiva inesistenti. Anzi la considerava nemica della sua destra”.

Montanelli quando nel maggio del 1988 morì Almirante scrisse: “Se ne è andato l’unico italiano a cui si poteva stringere la mano senza paura di sporcarsi”.

“Ce n’erano anche altri, pochi a dire la verità, in quel mondo politico a quei tempi.

Tuttavia è vero: chi stringeva la mano ad Almirante non temeva di sporcarsela”.

Commenti