«Meno male che mi avete arrestato, perché così mi avete salvato dalla tossicodipendenza e dai miei errori»: Alberto Genovese è tornato ieri davanti ai pm di Milano che lo accusano in un nuovo filone d'inchiesta di altri casi di violenza sessuale. E ha confermato di aver intrapreso un percorso di recupero e di consapevolezza di ciò che ha fatto.
Di recente l'ex imprenditore del web, già condannato in via definitiva a poco meno di sette anni di carcere per la prima serie di stupri, ha chiesto attraverso i propri difensori di essere affidato a una comunità terapeutica per continuare a disintossicarsi. Il Tribunale di sorveglianza ha deciso che dovrà restare in cella a Bollate almeno fino a fine ottobre, perché per i giudici serve una valutazione psichiatrica sulla causa specifica dei reati e delle modalità di «estrema violenza» con le quali sono stati commessi. Poi la Corte deciderà sull'affidamento. Ieri in Procura è stato interrogato per quasi tre ore. Le nuove accuse riguardano altri episodi di violenza sessuale nei confronti di due giovani e con lo stesso schema, ossia con uso massiccio di cocaina. Genovese ha spiegato ancora una volta ai pm che anche queste presunte violenze, sempre del 2020, sono avvenute in un contesto di festini in cui tutti i presenti, ragazze comprese, si drogavano e che lui, nelle condizioni di tossicodipendenza in cui era, credeva che le giovani fossero consenzienti. Vale a dire che in quello stato lui non era in grado di comprendere il rifiuto delle vittime.
L'ex mago delle start-up si è difeso in sostanza con la stessa linea tenuta nel primo processo. A interrogarlo l'aggiunto Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini. Lo assistevano i legali Salvatore Scuto e Davide Ferrari. Secondo l'accusa, le vittime, tutte giovani modelle, erano incoscienti quando il 46enne ha abusato di loro. Una seconda accusa è di intralcio alla giustizia, per aver dato soldi alla 18enne che l'ha denunciato e fatto finire in carcere il 6 novembre 2020. L'indagato ha sostenuto che quel denaro l'avrebbe versato, in quanto lui era convinto che avessero concordato una prestazione a pagamento. Aspetto che la giovane ha sempre smentito. Infine, sull'imputazione relativa alla detenzione di materiale pedopornografico sarebbero arrivate ammissioni da Genovese, anche se l'ex imprenditore avrebbe cercato di precisare meglio il modo in cui aveva effettuato quelle ricerche on line. Nella sua cartella del pc «La Bibbia 3.0» la polizia postale aveva trovato immagini di minori.
Dopo la chiusura della nuova tranche di indagini e l'interrogatorio, la Procura a breve chiederà il rinvio a giudizio nel procedimento che vede indagati anche l'ex braccio destro di Genovese, Daniele Leali, e l'ex fidanzata.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.