La fotografia che Matteo Renzi vuole far restare, dentro la bella cornice del Museo partenopeo di Pietrarsa, è quella di un Pd che si ricompatta dopo gli strappi continui di queste settimane. Fin dal mattino, lo staff del leader Pd diffonde sui social e sui telefonini dei giornalisti le istantanee dei suoi abbracci con il ministro Delrio e con Minniti.
Il clou arriva nel tardo pomeriggio, quando il premier sale sul treno del Pd, fermo sui binari del Museo ferroviario, e va in onda via Facebook il meeting dell'amicizia tra governo e Pd, dopo lo scontro sul caso Visco. Paolo Gentiloni si presta con grande buona volontà all'operazione di riconciliazione, convinto dell'urgenza di lasciarsi alle spalle la rottura culminata nel Consiglio dei ministri di venerdì, disertato dai renziani.
Il «padrone di casa» Renzi accoglie con grandi sorrisi il capo del governo: «Voi - dice ai giornalisti - siete tutti concentrati su qualche diversità. Ma il Pd è casa di Paolo». Poi spara subito la battuta sdrammatizzante: «Ora ci sarà una breve relazione di 40 minuti di Matteo Orfini (punta di diamante della polemica Pd contro il governatore e seduto accanto al premier, ndr) su Bankitalia». Pure a Gentiloni scappa da ridere: «Mi dissocio», dice.
Poi, dopo aver ironizzato sulla «passione per le stazioni di Renzi (anche la Leopolda lo è), il capo del governo - accolto da una standing ovation, Renzi in prima fila a battergli le mani - lancia una serie di messaggi che, tra le righe e senza polemiche, indicano anche al leader Pd una serie di errori da correggere: «Abbiamo bisogno di gioco di squadra e di unità», non solo per garantire «una fine ordinata della legislatura, che non è solo un'esigenza del governo ma un dovere verso gli italiani», ma anche perché il Pd, sottolinea Gentiloni, ha «una responsabilità grande sulle spalle». La responsabilità del governo di ora, ma pure quella di essere «l'unico perno possibile per il governo di domani». L'Italia, sottolinea il premier, sta «rialzando la testa» dopo gli anni della crisi, grazie anche alla «straordinaria stagione di riforme» avviate «dal tuo governo, Matteo». Ma ora, aggiunge, «ha bisogno di essere rassicurata», perché «la fiducia è un circolo virtuoso e va accudita». Quindi è importante «non dissipare i risultati di questi anni, e sono certo che il Pd non lo consentirà». Suona come un monito a evitare strappi e forzature da pre-campagna elettorale, e fughe in avanti elettoralistiche. Anche sull'Europa: «Faremo una campagna elettorale per l'Unione, quelle contro le lasciamo ad altri». Poi l'invito ad avere come «punto di riferimento la guida del presidente Mattarella», che sarà «il garante dei prossimi passaggi istituzionali» in una nuova legislatura che si preannuncia assai difficile: metterselo contro, sembra dire Gentiloni, sarebbe un grosso errore. E poi l'appello a costruire «con la forte leadership di Matteo» una coalizione «aperta al centro e a sinistra e più larga possibile», ora che «le regole elettorali sono chiare». L'applauso finale è scrosciante, ma oggi - nell'intervento conclusivo della tre giorni di Pietrarsa, è prevedibile che Renzi raccoglierà, per rispondervi, molte delle sollecitazioni di quella che qualcuno chiama «la lezione di Paolo».
Intanto i vari capicorrente del Pd si prodigano per negare di attendere Renzi al varco delle
elezioni siciliane per «commissariarlo» e togliergli il controllo delle liste elettorali: «Niente resa dei conti nel Pd dopo le elezioni siciliane. Lavoro per unire e non per dividere ancora di più», twitta Dario Franceschini.
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