Negli palazzi del potere calabresi non si parla d'altro da giorni. Chi è quel parlamentare Pd della provincia di Cosenza pizzicato nella macchina del presunto prestanome del boss cosentino Franco Muto, detto il re del pesce? E soprattutto, che cosa avrà detto di così compromettente? Già perché, contrariamente al «mutismo» dello storico capocosca che per 30 anni ha spadroneggiato nella zona, il politico dem in macchina si sarebbe «aperto» a dichiarazioni pericolosissime e si sarebbe vantato di aver fatto favori agli amici e agli amici degli amici. Di lui (o lei) si sa che ha avuto (e ha) un importante incarico nel partito e in una delle amministrazioni locali sfiorate dall'inchiesta.
Facciamo un po' d'ordine. Dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia calabrese che hanno permesso di sgominare la storica cosca di 'ndrangheta è emerso che il clan Muto avrebbe avuto forti interessi sulla sanità calabrese, che da quelle parti è (ma sarebbe meglio dire era...) un po' come la Fiat a Torino: una macchina dove girano un sacco di soldi. Il clan Muto infatti avrebbe messo le mani su alcuni ospedali del Cosentino, quelli di Paola e Cetraro in particolare, e di diverse strutture private che, secondo le indagini della Dda, sarebbero sotto il controllo del clan. E l'autovettura concessa «in prestito» (sembrerebbe una Peugeot nera) al parlamentare del partito del presidente del Consiglio, peraltro pare di strettissima osservanza renziana, apparterrebbe proprio a uno dei manager della società privata che i pm antimafia sospettano essere soltanto un pupo nelle mani dei Muto.
I giornali locali sono scatenati, in particolare il Corriere della Calabria diretto da Paolo Pollichieni, vecchia volpe del giornalismo calabrese sin dai tempi della stagione dei sequestri, che evidentemente sa qualcosa in più di quello che c'è scritto nelle carte: «Un parlamentare calabrese del Pd avrebbe scorrazzato per il Cosentino utilizzando un'autovettura (...) imbottita di cimici piazzate dalla Dda e quindi ecco narrate agli inquirenti, le aspettative del boss, i suoi interessi, la necessità di contare sul territorio. Anche per il trasferimento di una dirigente amica all'interno delle Poste italiane, il boss chiede e il parlamentare esegue».
La palla adesso passa a Matteo Renzi, che era in Calabria qualche giorno fa. Aspetterà che il nome esca dai pm (indaga la procura di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, che Renzi voleva Guardasigilli) o farà pulizia nel suo partito prima che glielo ordini un magistrato?
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