La giornata del Conte furioso che sbugiarda i suoi ministri

Giuseppi in Parlamento: tutti sapevano, contro di me imfamie. Replica a Salvini ma demolisce anche Di Maio

La giornata del Conte furioso che sbugiarda i suoi ministri

Salvini che «non studia» le carte e Meloni che propala notizie false. Di Maio che non poteva non sapere e l'altro Matteo sul quale è meglio restare in silenzio. Nella bolgia di Montecitorio, poi nel ribollente salotto buono del Senato, Giuseppe Conte decide di giocarsela così, all'attacco, salvo ritrovarsi alla fine solo e sempre più in bilico. Al Quirinale, dopo «il sollievo» per il fragile compromesso notturno sul Meccanismo europeo di stabilità, è tornato a suonare l'allarme. Commenta Renzi: «Non so se il governo regge».

Dunque. Nessun via libera «al buio» al Fondo: infatti, sostiene il premier, la riforma del Salva-Stati «non è ancora arrivata alla firma dei Paesi europei» e il trattato «incompleto» dovrà comunque essere ratificato dalle Camere. Nessun patto segreto, scandaloso, con i burocrati di Bruxelles.

«La relazione sul Mes - dice - è stata presentata il 27 febbraio 2019 e, nel corso di quella seduta, il Cdm ne ha preso atto all'unanimità. I ministri presenti, compresi quelli della Lega, non hanno mosso obiezioni sul punto». E, giura, nessun rischio per l'Italia. «Abbiamo un debito sostenibile, come riconoscono pure l'Unione europea, il Fondo monetario e i mercati, per cui non si intravvede nessuna necessità di attivare un fondo, che non è contro qualcuno, ma è un'assicurazione contro il pericolo di panico finanziario. Un vantaggio per tutti». Perciò, conclude, «contro di me solo bugie e accuse infamanti». Intanto, seduto alla sua sinistra, Luigi Di Maio furioso lo ghiaccia con lo sguardo.

Tanti nemici tanto onore, questa la linea. La condotta di Matteo Salvini, spiega Conte, non lo sorprende, perché «mi è nota la sua resistenza a studiare i dossier» e ha una «restituzione della verità assai disinvolta». Piuttosto lo stupisce «il comportamento di Giorgia Meloni che diffonde falsità e notizie allarmistiche: servirebbe senso di responsabilità pure da parte dell'opposizione». Il Parlamento, dice, è stato «sempre puntualmente informato» e fu Giovanni Tria «a inviare ai presidenti delle Camere il resto di revisione del Meccanismo di stabilità».

Insomma, la situazione, lo stato dell'arte della trattativa con Bruxelles, era nota a chiunque. «L'Italia si è espressa in sede europea in maniera coerente con il mandato ricevuto da questo Parlamento. Su queste basi è stato dato incarico all'Eurogruppo di procedere alla bozza di revisione del Mes». Anzi, aggiunge, nel negoziato «abbiamo ottenuto regole più vantaggiose sia nel remotissimo caso in cui dovessimo a arrivare a chiedere i fondi, sia in quelli molto più frequenti in cui ci ritrovassimo dal lato di coloro che erogano il prestito». Tutti sapevano, insiste, soprattutto i ministri del governo precedente, quello gialloverde.

Tra i quali c'era anche Gigi Di Maio, che adesso si indigna e dice da giorni di non voler firmare nulla al buio. Per attaccarlo, per mettere in luce le sue contraddizioni, il premier non ha nemmeno bisogno di nominarlo. Gli basta prendersela con Salvini, dire che all'epoca la Lega era favorevole al Mes mentre oggi è contraria. Esattamente come il ministro degli Esteri: dov'era Giggino, dormiva?

Con il Pd sembra andare meglio. La stretta di mano con Roberto Gualtieri è calorosa, l'intesa tra Conte e il ministro dell'Economia appare a prova di bomba. Però insomma, con lo stato maggiore del Nazareno il rapporto è assai ballerino.

Zingaretti che ogni tanto parla di elezioni, Franceschini che si chiede che stiamo a fare al governo, gli altri che sono stufi di inseguire i 5s.

Quanto a Renzi, ormai non manda nemmeno più i suoi ministri ai vertici di maggioranza. E Conte traballa.

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