Roma «Preoccupato», si definisce Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica è da pochi giorni in vacanza in Alto Adige, ma ieri con una nota ha fatto sapere di seguire «con preoccupazioni gli sviluppi della situazione parlamentare», con particolare riferimento al gran caos della riforma del Senato, ancora ostacolata dall'ostruzionismo esasperato delle opposizioni. Ma anche il voto di fiducia di venerdì sul Decreto Competitività, sul quale le minoranze han tentato di far saltare il numero legale, ha contribuito a non tranquillizzare il capo dello Stato. Il quale però ieri ha voluto smentire seccamente, come «destituita di ogni fondamento», l'indiscrezione diffusa da Dagospia secondo la quale in questi giorni Napolitano si sarebbe impegnato in prima persona a telefonare ai senatori «ribelli», per richiamarli a comportamenti meno barricaderi. Nessuna telefonata, assicura il Colle, ma una concreta «preoccupazione» per una riforma «necessaria», come ha avuto modo di ribadire a tutti i suoi interlocutori, e duramente contrastata in Parlamento. Renzi però si mostra tranquillo: «Andremo avanti con la serenità di chi sa che non ci stanchiamo, e che si stancheranno prima loro», assicura, ironizzando su «quei senatori che dovrebbero stare in Parlamento a votare invece di andare a fare passeggiatine dal Quirinale».
Le votazioni sulle migliaia di emendamenti (alacremente sfornati dalla tecnocrazia di Palazzo Madama, impegnata a ostacolare una riforma che ne ridurrebbe drasticamente il peso contrattuale) riprenderanno domani, e il Senato è convocato tutti i giorni dalle 9 del mattino alla mezzanotte per evitare che l'esame del ddl si protragga, come diceva leccandosi i baffi il centrista Mario Mauro, fino «a settembre sì, ma del 2015». Ma anche così gli inghippi regolamentari per frenare la discussione sono tali e tanti che non è affatto garantito di farcela entro l'8 agosto, a meno che le minoranze non facciano un passo indietro. Cosa al momento improbabile, anche perché i 6mila emendamenti di Sel sono già stati sottoscritti dai grillini, pronti a farli propri se Vendola desse cenni di cedimento. Se non sarà l'8 agosto, peggio per loro, dice Renzi: «Si andrà alla settimana dopo, perché non possiamo lasciar fare a chi dice sempre no». Il governo, dal canto suo, ha messo sul tavolo il referendum confermativo, per lasciare «l'ultima parola ai cittadini», come dice Renzi, ed è pronto a trattare «su 10, 20, 30 punti». Ma non certo su quelli posti come decisivi dalle opposizioni, in primo luogo l'elettività del Senato, ossia la sua conservazione.
E nelle file dei crociati anti-riforma serpeggia un certo disagio, come testimoniano anche le divisioni interne dei Cinque Stelle: «Più alzano barricate e rallentano i lavori, più fanno un favore a Renzi, che è pronto a farli lavorare anche a Ferragosto: nell'opinione pubblica è chiaro che loro sono i frenatori che si oppongono al cambiamento», osserva un senatore del Pd. «Pensano di fare arrabbiare me o il governo, ma io non mi arrabbio, ho l'impressione che stiano facendo arrabbiare i cittadini. Fanno un danno all'Italia e anche a loro stessi», li sfida il premier.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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