Il gip non convalida il fermo Ma Mancini resta in galera

Pericolo di reiterazione del reato, la motivazione: «Perché l'ultrà se provocato non ha freni inibitori»

Amedeo Mancini, il violento, l'ultrà «fascista e xenofobo», resta in cella. Certo a rigor di legge, ma soprattutto in nome della «piazza». Di una distorta ragion politica, dell'ipocrisia imperante, del nauseabondo clima di razzismo al contrario che si respira ormai da anni.

L'Italia perde. A prescindere, comunque la si veda.

Chi avrebbe avuto l'ardire di andare controcorrente in questo clima di giustizialismo mediatico, di pubblica gogna? Il gip Marcello Caporale non ha fatto nulla di diverso di quanto ci si potesse attendere alla vigilia. O meglio ha fatto la scelta più logica, magari un poco pilatesca ma - a volerla ben vedere - quasi la più garantista nell'interesse dell'imputato stesso. Il capo d'accusa per il trentanovenne che martedì scorso ha sferrato un pugno mortale a Emmanuel Chidi Nnamdi, resta lo stesso: omicidio preterintenzionale aggravato dall'odio razziale. E allora perché non è stato rilasciato in attesa di processo? Mancini non è pregiudicato, non sussiste pericolo di fuga. La sua difesa, la ricostruzione dei fatti ripetuta per 2 ore davanti al giudice, e in cui il contadino ha sì ammesso l'insulto alla compagna della vittima («scimmia nera», ndr) ribadendo però di essere stato lui vittima di aggressione, sembra ormai assodata anche dalle indagini. Tesi confermata pure dalle parole di quattro-cinque testimoni. Dunque, tecnicamente, l'uomo avrebbe potuto fin da ieri ottenere almeno gli arresti domiciliari. Francesco De Minicis, suo legale non polemizza: «Bisognava fermare un fragore mediatico che sostiene cose assolutamente non vere - spiega -, adesso grazie anche alle parole dette ieri sera da don Vincenzo, molto giuste e belle, che le vittime non sono solo da una parte, io credo sia giusto mantenere tutti un po' di riserbo. C'è un'inchiesta, l'indagine stabilirà se e quanta responsabilità penale abbia Amedeo, se e quanta consapevolezza delle sue azioni aveva quando le ha commesse». Mentre la rediviva ex ministro del pd Cecile Kyenge, adesso ne approfitta per annunciare che «mi costituirò parte civile come persona che porta avanti la lotta con un gruppo di realtà, di associazioni sulla lotta contro il razzismo», quattro donne presenti alla drammatica sequenza, avevano già messo a verbale che ad impugnare, per far male, un palo della segnaletica sarebbe stato il profugo nigeriano e non Mancini. E che a menar le mani si fosse messa ancor prima la non così debole Chiniery, purtroppo oggi vedova.

Non un caso, dunque, che il gip, ieri, non abbia convalidato il fermo dell'italiano usando, però, in punta di diritto il codice per tenerlo dietro le sbarre. Questa la parola magica, in considerazione «del clima in città e nella valutazione dell'indagato»: pericolo di reiterazione del reato. In questo caso un sofismo giuridico, per evitare una sollevazione di massa. E soprattutto considerando i più che ipotizzabili propositi di vendetta dei tanti extracomunitari ospiti dall'associazione Capodarco. Ecco cosa ha scritto il gip per motivare la decisione di tenere Mancini in prigione: «Ci si riferisce in particolare alla stessa natura del delitto che egli ha commesso e alle modalità attraverso le quali l'omicidio è stato perpetrato, trovandoci all'evidenza di fronte a un soggetto che non ha i necessari freni inibitori per evitare, seppur provocato, un gravissimo delitto contro la persona». Il che tradotto significa: a rischiare la pelle, una volta libero, potrebbe essere proprio il violento ultrà della Fermana. Vittima di possibili vendette e ritorsioni. La sua faccia ormai la conosce tutta Italia, lui abita con il fratello in un casolare isolato fuori città. E di giustizieri di ogni razza e colore, come dimostra la bellicosa violenza del web, è pieno il Paese. Il «bifolco», oggi, è più preda che belva. Un uomo impaurito, scioccato, confuso. «Vorrei donare la mia casa alla vedova di Emmanuel, è l'unico bene che ho.

Non sono ricco, non ho nient'altro, ma sono profondamente addolorato per la perdita di quella povera donna e in qualche modo vorrei fare qualcosa», ha dichiarato al giudice. Non lo sa, forse. Gliela porteranno via comunque.

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