Come l'ultimo dei giapponesi nella giungla, Christine Lagarde ha provato a resistere fino alla fine. Ora, però, sul ponte di comando sventola bandiera bianca: «La situazione è chiaramente cambiata, i rischi per l'inflazione soprattutto nel breve periodo sono ora orientati al rialzo. Ci stiamo avvicinando al nostro target», ha detto ieri la presidente della Bce al termine della riunione del direttivo. Salmodiato per mesi, il mantra sulla «transitorietà» del carovita è andato in frantumi: un cristallo schiacciato sotto il peso dell'aumento dei prezzi, schizzati in gennaio nell'eurozona al 5,1%. E il peggio potrebbe non essere ancora dietro le spalle.
Così, scricchiolano le certezze di Francoforte, ripiegano le ali le colombe e volteggiano i falchi. Al punto che i mercati fiutano subito un cambio di rotta deciso, declinato in due rialzi dei tassi, il primo in giugno e l'altro in settembre. È il vaticinio che fa arrampicare lo spread Btp-Bund fino a 150 punti base (a quota 139 mercoledì scorso), arroventa fino ai massimi da maggio 2020 i rendimenti del decennale italiano fino all'1,6139%, riporta l'euro oltre gli 1,14 dollari e tramortisce le Borse del Vecchio continente (-1% Milano). Insomma: il più classico dei copioni da politiche monetarie espansive ormai ai titoli di coda.
La prospettiva di un'Eurotower in procinto di allinearsi alla Fed, pronta a varare cinque strette quest'anno, e alla Bank of England, che ieri ha dato il secondo giro di vite al costo del denaro nell'arco di un bimestre, non era del tutto scontata. Se il carovita è una spina nel fianco, non minori sono le preoccupazioni legate all'alto livello d'indebitamento accumulato da molti Paesi, a cominciare dall'Italia, durante la pandemia. Il rischio è che un restringimento delle maglie monetarie, contestuale al ritiro delle misure di stimolo, crei forti tensioni sui mercati finanziari, soprattutto sui differenziali di rendimento. Lagarde lo sa bene, al punto da esplicitare il timore: «Non date per scontato l'immediatezza di un aumento dei tassi. Non siamo ancora a quel punto e agiremo con gradualità perché non siamo qui per agitare le acque». Il punto, però, è un altro: per la prima volta, e dopo averla negato per mesi, la Bce ammette la possibilità di alzare i tassi quest'anno per uscire dal cul de sac in cui si è infilata negando l'evidenza di un'inflazione già perniciosa e, in caso di conflitto in Ucraina, disastrosa.
A questo punto, le nuove proiezioni macroeconomiche di marzo a detteranno la linea. «Saremo data-dependent nelle nostre decisioni», ha ammesso la banchiera francese. Convinta di poter governare l'aereo senza farlo schiantare a terra. Il che significa non toccare le leve monetarie fino a quando non saranno «portati a termine gli acquisti netti». Vale a dire almeno fino a ottobre, mese in cui arriverà al capolinea il vecchio Qe di Mario Draghi, il cui controvalore salirà da 20 a 40 miliardi al mese nel secondo trimestre. Arbitri dell'atterraggio morbido, i mercati. La Bce dovrà marcarli stretti. «I rendimenti sono cresciuti, ma gli spread non sono aumentati in modo significativo.
Se avverrà qualcosa di diverso, abbiamo tutti gli strumenti a nostra disposizione per intervenire». Dopo l'improvvida uscita sugli spread del marzo 2020 («Non siamo qui per tenerli sotto controllo»), anche Madame sembra aver capito la lezione.
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