Magistratura

Il giudice che si droga? Scoperto e "graziato"

In Calabria il caso di un magistrato che faceva uso di stupefacenti. Sospeso per un anno, è tornato al lavoro

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L'atto di incolpazione davanti al Csm ha l'andamento di un referto. E il referto è sbalorditivo: il giudice era in bagno. «Riverso a terra, in preda a convulsioni ed in evidente stato confusionale». E ancora: «Continuava a dimenarsi a e farneticare», e cercava di bloccare il medico che voleva alzargli le maniche per misurargli la pressione.

Cocaina & anfetamine, la spiegazione arriva in breve. E finisce naturalmente davanti alla Disciplinare del Csm che scopre precedenti per alcol e si accorge che il magistrato - giudice penale - ha già avuto altri procedimenti disciplinari. Un quadro disastroso. «Il magistrato - scrive la Disciplinare - risulta essere stato sottoposto a plurimi procedimenti disciplinari per fatti riguardanti guida in stato di ubriachezza, violenza e minacce ai rappresentanti delle forze dell'ordine». Sembra di leggere il certificato penale di un piccolo pregiudicato, invece stiamo raccontando il curriculum di una toga.

Nicola Gratteri, oggi procuratore a Napoli, ha puntato il dito contro i politici proponendo per loro i test attitudinali e pure quelli per rilevare consumo di alcol e droga. Forse, Gratteri non sapeva che proprio in Calabria, la regione dove è rimasto a lungo, c' era un suo collega positivo a tutte le analisi da lui suggerite.

Forse i test avrebbero rilevato qualche anomalia e fragilità in una persona che da anni dava segni di squilibrio. E andava alla deriva, fino al giorno in cui era semisvenuto in bagno, lasciando nello sconcerto un intero tribunale. Già il 6 aprile 2003 «circolava in stato di ebbrezza alcolica alla guida della sua autovettura». In quell'occasione, già che c'era, aveva anche «percosso un passante».

Quasi dieci anni dopo, rieccolo, questa volta con una certa familiarità verso le droghe. «La sera prima aveva assunto della cocaina, dei tranquillanti e dell'alcol». Pensava di smaltire gli effetti di quegli eccessi con calma, ma una telefonata inattesa del presidente di sezione aveva scombussolato suoi piani.

L'indomani il magistrato è chiamato a far parte di un collegio penale. Va dunque a Palazzo di giustizia e qui sente che qualcosa non va. Corre in bagno, «mandando un messaggio alla collega con la quale avrebbe dovuto comporre il collegio per avvertirla di quell'episodio acuto che lo aveva appena colpito».

Il ricovero in ospedale conferma i sospetti: alcol e anfetamine. È un episodio che turba la magistratura, probabilmente un unicum che mette in difficoltà anche i giudici della Disciplinare. Per i fatti precedenti, e per altri ancora, l'avevano già stangato sospendendolo per due anni dalle funzioni. Insomma, aveva già un piede fuori dalla magistratura.

Che fare? Il capo d'incolpazione è sconvolgente: il magistrato ha preso parte «all'udienza sotto l'influsso di sostanze stupefacenti». Andando allo sbaraglio in aula, in stato di «grave alterazione». Senza la necessaria lucidità. Sembra fiction, è la realtà.

La Disciplinare valuta dunque la «dispensa», ovvero l'espulsione dalla magistratura del giudice ma alla fine ritiene che ci siano gli elementi per il suo «recupero». Ha commesso eccessi per tre anni, ma senza sviluppare una dipendenza «da alcol e droga». Lo specialista sostiene che «non presenta sintomi di scompenso psichiatrico in atto». Inoltre, lui si è sottoposto volontariamente e più volte all'analisi delle urine, sempre con risultato negativo. Infine, il trasferimento ad altro tribunale l'ha già sottratto all'ambiente in cui è accaduto il fatto. Il verdetto é pesante ma non da ko: un anno di sospensione.

Quel giudice è tornato in servizio.

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