Il giuramento jihadista nel telefono dell'indagato

L'algerino arrestato in Liguria prometteva all'Isis: "Fedeltà nell'agio e nelle avversità"

Il giuramento jihadista nel telefono dell'indagato

Sgozzamenti, prigionieri uccisi, bambini soldato addestrati all'ombra delle bandiere nere, le foto dei membri del commando responsabile degli attentati di un anno fa a Parigi. E poi, la formula del terrore. Quella che l'Isis chiede di pronunciare ad affiliati lupi solitari o simpatizzanti pronti a morire ad arruolarsi o a compiere azioni nel nome del Califfo. C'era anche la promessa di fedeltà dei jihadisti tra il materiale rinvenuto nel telefonino di Sakher Tarek, l'algerino di 34 anni arrestato nelle settimane scorse con altre tre persone dai carabinieri del Ros di Genova con l'accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale.

Era stato bloccato nel Cie di Torino dove era ospite in attesa di ottenere asilo, con lui erano finiti in manette i Hossameldin e Antar Abdelhakim, 43 e 36 anni, due fratelli egiziani, e un quarto connazionale fermato una settimana dopo, Hosny Mahmoud El Hawary Lekaa. Tutti ritenuti responsabili di attività di proselitismo, propaganda della jihad via web, e reclutamento di combattenti dal Nordafrica da inviare tra le fila dello Stato Islamico in Siria. L'algerino avrebbe pronunciato il giuramento di fedeltà al maggiore dei due fratelli egiziani, per dimostrare la sua volontà di combattere: «A chi è stato guidato da Dio per giurare fedeltà ad Amir Al Momenin (capo dei fedeli, ndr), il giuramento di fedeltà non è un semplice insieme di parole da dire, ma parole seguite da fatti. Nel giuramento di fedeltà diciamo ti giuriamo fedeltà nei momenti di difficoltà e di prosperità, e nell'agio e nelle avversità, però non siamo stati sinceri nel nostro giuramento: se fossimo stati sinceri saremmo diventati lupi solitari visto che le porte dell'emigrazione ce le hanno chiuse i tawaghit (i tiranni, ndr) in faccia».

Le indagini del Ros coordinate dal sostituto procuratore Federico Manotti hanno consentito di individuare come il gruppo, organizzato su base familiare e stanziato tra la Liguria e la Lombardia, si occupasse di diffondere materiale jihadista e di instradare foreign fighters verso il territorio siriano. Dei due fratelli egiziani, il maggiore secondo gli investigatori aveva il ruolo di primo piano nel reclutamento, considerato il tramite dell'arruolamento dalla Cina di un jihadista che ha raggiunto la Siria attraverso la Turchia. Il fratello Abdel, pizzaiolo residente a Finale ligure, aveva sopratutto il ruolo di diffondere le immagini attraverso i social network. Otteneva materiali direttamente da al-Hayat Media Center, organo di propaganda del cosiddetto «Stato Islamico». Per lui il gip di Genova ha derubricato il reato in apologia e istigazione del terrorismo.

Ci sono state «una serie di alert e segnalazioni che dimostravano la presenza di reclutatori nel nostro Paese - ha spiegato il comandante del reparto Antiterrorismo del Ros, Giovanni Fabi -. Anche se non ci sono elementi che ci fanno pensare ad attentati in Italia, è importante intervenire soprattutto in termini di prevenzione».

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