Lui, con il consueto scialo di eufemismi un po' fantozziani, la chiama «varietà di opinioni».
Ma a fine giornata, dopo ore di dibattito e di consueto circo anti-Ue da parte di sovranisti di destra e di sinistra, appare chiarissimo che la coalizione che sostiene Conte ha al suo interno due posizioni diverse ed inconciliabili sull'Europa. Una pro e una contro. Una che dice che il Mes sanitario sarebbe una benedizione da prendere subito e la riforma del Mes bancario è ottima cosa, e l'altra che evoca oscuri complotti pluto-giudaico-massonici per respingerli con orrore.
E poiché, come ha avvertito in aula l'ex ministra dem Pinotti, «l'Europa assiste incredula e con preoccupazione al nostro dibattito», il premier non arriverà al vertice Ue di oggi molto rafforzato nella sua credibilità. Forse, nonostante il soave trionfalismo con cui Conte ha incassato il sì (scontatissimo, nonostante le suggestioni mediatiche delle ultime settimane) ad una risoluzione di maggioranza, e nonostante annunci un filo sopra le righe come quello di essere pronto a «lanciare una sfida ambiziosa agli altri governi europei» (che ne saranno preoccupatissimi), se ne rende conto persino lui.
Per uscire indenne dal voto di ieri, tenendo buoni i grillini da una parte e Pd e Iv dall'altra, il governo ha dovuto benedire una risoluzione di maggioranza di 18 pagine, un unicum nella storia parlamentare. Un testo gonfiato a dismisura per non dire nulla sul tema in discussione: «Tanto verboso quanto reticente», lo ha bollato in aula Emma Bonino, annunciando l'astensione di +Europa e di Azione. «A furia di compromessi al ribasso, un governo senza coraggio e zavorrato dal populismo decadente dei Cinque stelle rischia solo di perdere tempo», dicono Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova.
Difficile governare con una maggioranza così spaccata su una questione di fondo come il rapporto con l'Unione europea: ci si può limitare a galleggiare, rinviando ogni decisione difficile. Tant'è che, mentre Conte passa la mattina a Montecitorio, la pausa pranzo al Quirinale per il tradizionale vertice pre-Consiglio europeo e il pomeriggio a Palazzo Madama, il Consiglio dei ministri sulla cabina di regia del Recovery Plan, previsto per ieri sera, slitta a data da destinarsi. Un ennesimo rinvio che il Pd non apprezza: «Conte lo convochi e trovi un accordo con la sua maggioranza», protesta il capogruppo al Senato Marcucci. Anche se in casa dem, dove finora si è guardato con silenzioso favore alla guerriglia con cui Renzi ha bloccato il tentativo del premier di fare l'asso pigliatutto sul Recovery Fund, ora si affaccia un sospetto preoccupato.
Quello cioè che l'ex Rottamatore giochi una partita diversa: non tanto per condizionare le mosse di Conte, quanto per farlo saltare e arrivare al voto anticipato con la vecchia legge elettorale: «L'unica - spiegano - che gli garantirebbe un accordo con noi per eleggere i suoi».
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