Il presidente del Consiglio Mario Draghi si aggiudica il primo round nella sfida contro il M5s sulla riforma della giustizia. La partita però non è terminata: ora inizia il secondo tempo in Parlamento. Dove potrebbero nascondersi insidie. I 26 emendamenti, che spazzano via la vecchia riforma Bonafede sul processo penale, più il maxiemendamento finale, che recepisce l'accordo raggiunto, sono stati trasmessi alla commissione Giustizia della Camera. Domani alle ore 14 il testo approderà in Aula per l'esame delle pregiudiziali.
L'orientamento, che trapela da Palazzo Chigi, sembrerebbe quello di chiedere la fiducia sull'approvazione finale del maxiemendamento. L'obiettivo è neutralizzare eventuali sgambetti che partirebbero dal fronte grillino. Il ministro della Giustizia Marta Cartabia ostenta tranquillità: «Non temo sorprese. Tutte le forze politiche di maggioranza si sono impegnate anche in termini di comportamento in Parlamento, e ci auguriamo come auspicabile che il procedimento si concluda in pochi giorni», precisa al Tg3. Il primo scoglio è il numero legale: nelle ultime votazioni l'asticella è stata centrata con margini molto ristretti. Ecco un esempio: la seduta sul Dl semplificazioni è stata validata per appena 15 voti in più rispetto alla soglia richiesta. E poi tra i Cinque stelle la delusione, per il passo indietro, non è smaltita del tutto. Dunque, si temono trappole, senza la blindatura del testo con il voto di fiducia.
Draghi punta a chiudere il dossier prima delle ferie. Road map confermata dal Guardasigilli. Nelle ultime ore però rischia di diventare un caso la cancellazione, dal testo finale della riforma, dell'emendamento a firma 5stelle che avrebbe permesso di svolgere anche in Appello i processi per reati minori - quelli a citazione diretta, puniti al massimo con quattro anni di carcere - di fronte a un solo giudice invece di tre. C'è la tentazione di ripresentare l'emendamento: una mossa per rallentare l'approvazione della riforma. Dai vertici del M5s filtra, inoltre, la contrarietà rispetto alla scelta del governo di chiedere il voto di fiducia.
Umori completamente opposti sul fronte draghiano: il muro Lega-Fi-Palazzo Chigi neutralizza l'assalto di Conte. Forza Italia è intervenuta con 4 emendamenti garantisti: criteri più stringenti per la riapertura delle indagini, udienze in Cassazione sull'incompetenza territoriale a cui può partecipare la difesa, possibilità di patteggiamento anche durante il dibattimento in caso di contestazione suppletiva e mantenimento delle garanzie nel contraddittorio in Cassazione.
Il presidente del Consiglio è rimasto spiazzato dal doppio gioco del Pd. Che in un primo momento aveva garantito pieno appoggio alla riforma, salvo poi smarcarsi, nelle ore calde dello scontro, per via dell'alleanza Letta-Conte. Al ministro leghista Giancarlo Giorgetti - racconta il Corriere - che faceva notare come Conte abbia iniziato l'azione di logoramento del governo «Draghi avrebbe risposto un sorriso». E ieri il ministro leghista ha aggiunto: «Alla fine la chiude sempre il premier».
Recinto quasi invalicabile a protezione dell'esecutivo. Nel primo vero scontro muscolare tra le forze di governo, Draghi lancia un segnale di solidità in vista dell'inizio del semestre bianco.
Quando, con la campagna elettorale alle porte nelle grandi città, potrebbero ripetersi scaramucce e pressioni. Intanto in Senato si palesa l'asse tra Cartabia e la presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati sullo stralcio dell'emendamento (Dl reclutamento) per prorogare l'attività dei tribunali delle zone terremotate.
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