Politica

Dalla giustizia rossa a quella divina

Quando non riescono a far fuori qualcuno per via giudiziaria, ci provano per via morale.

Mimmo Lucano
Mimmo Lucano

Quando non riescono a far fuori qualcuno per via giudiziaria, ci provano per via morale. Ieri la procura di Catania ha prosciolto Salvini sul caso Gregoretti: il leader della Lega non è un sequestratore di persone. Sembra un'ovvietà, avrà tanti difetti ma non è certamente un rapitore, invece in Italia è una notizia. I fatti risalgono al luglio del 2019, quando l'allora ministro dell'Interno impedì lo sbarco di 131 immigrati dalla nave militare ancorata nel porto di Augusta. Una decisione squisitamente politica che dal Parlamento è finita direttamente al tribunale, alla faccia della democrazia.
D'altronde allora Salvini era il nemico numero uno della sinistra italiana che, come abbiamo imparato nel corso degli anni, quando non riesce a sconfiggere il proprio avversario nelle urne cerca di farlo nelle aule di giustizia. Il passo ulteriore, quando anche l'imboscata processuale è fallita, è quello di trattarlo comunque come se fosse colpevole. Perché se per errore (in questi casi, solo in questi, anche i più manettari ammettono la fallibilità delle toghe) i giudici lo hanno assolto, ci pensa il «tribunale morale della sinistra» a condannarlo. Le parole di Mimmo Lucano, il celebre ex sindaco pro migranti di Riace, suonano come una sentenza e sono un manifesto del moralismo colpevolista: «Anche se oggi Salvini l'ha scampata, un giorno dovrà rispondere a qualcuno che sta più in alto di noi. Salvini un giorno dovrà guardare dentro la sua coscienza e avere dei rimorsi per quello che ha fatto».
Quando non riescono a trafficare con la giustizia terrena, tirano in ballo quella divina. Ed è un salto di qualità. Perché eravamo a conoscenza del maiuscolo complesso di superiorità di una parte della sinistra, ma non immaginavamo che avessero entrature in piani così alti da sfiorare il Padreterno, del quale evidentemente conoscono in esclusiva il giudizio su Salvini. L'ex sindaco non parla soltanto per sé, è il ventriloquo di tutta quell'area progressista che ieri ha dovuto mordersi la lingua e chiudere il becco al cinguettìo indignato che stava per volar via da Twitter. Quella sinistra che due anni fa ha trascinato Salvini sul banco degli imputati e ora se lo trova seduto accanto tra i banchi del governo.

Capiamo l'imbarazzo ma, in alcune circostanze, dopo averle sparate così grosse, non è il caso di tirare in ballo la morale e il divino: basta chiedere scusa.

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