"Giusto che la politica nomini i pm antimafia. Ma qualche boss ne ha deciso la carriera"

L'affondo del giudice: "Il processo Palamara sarà un bagno di sangue per molti colleghi. Alcuni sono vittime di una vorace e insaziabile ambizione"

"Giusto che la politica nomini i pm antimafia. Ma qualche boss ne ha deciso la carriera"

«Se il processo a Perugia dovesse arrivare in dibattimento c'è da attendersi un bagno di sangue con tante toghe nello scomodo ruolo toccato al povero Forlani, torchiato a Milano e immortalato con la bava che solcava la bocca resa secca dall'imbarazzo». Alberto Cisterna oggi è presidente di Sezione al Tribunale di Roma. Le sue parole al Riformista fanno molto rumore. Ma l'ex pm antimafia le conferma al Giornale, ora che le intercettazioni sfiorano la Calabria, sua terra d'origine, e alcuni personaggi di governo del centrosinistra. Come Maria Elena Boschi, che nel 2017 organizzò assieme a Palamara la partita del cuore a san Luca, o come l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti, il cui nome rimbalza nei brogliacci all'esame del Csm. A quella che sembra una gigantesca chiamata in correità Cisterna aggiunge: «Confermo la prognosi. E il coraggio mostrato dalla magistratura di Perugia è garanzia che sarebbero le forche caudine per molte toghe e non solo. Ciò posto resta il problema. Una parte, purtroppo non marginale, della magistratura italiana non soffre di correntismo, ma di un vorace e insaziabile carrierismo. Lo hanno denunciato componenti autorevoli dell'Anm ed è un giudizio che condivido. Da questo punto di vista - sottolinea il magistrato calabrese - una riforma della legge elettorale del Csm che penalizzi le correnti associative e la loro capacità di rappresentanza rischia di essere inutile o poco producente. A loro modo i gruppi associativi, come sede di vero dialogo e confronto, sono capaci persino di moderare le ambizioni, mettono in luce colleghi di grandi capacità e di eccelse doti professionali». Maggio è il mese il cui si ricorda Giovanni Falcone, anche lui vittima dei veleni correntizi prima che della mafia. «L'ho conosciuto, in queste occasioni associative a partire dal 1988 e sino al 1991, un regalo altrimenti irraggiungibile. Così, se non si prestano al servilismo della cooptazione, le correnti mitigano anche il tarlo che rode e affanna troppi magistrati, la convinzione di essere ciascuno insuperabile giurista ed eccelso organizzatore. È un tarlo che la riduzione al silenzio dell'associazionismo alimenterebbe a dismisura. Senza considerare che, come per il crollo dei partiti, prenderebbero piede altre forme di aggregazione e pressione in gran parte illecite o clandestine». E quando citiamo le intercettazioni in cui Palamara evoca una specie di P2 sospira: «Come se non bastassero le tante, grandi e piccole P2 che minacciano da sempre la magistratura italiana». Ma è sulle parole captate che riguardano Minniti e il procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho e all'idea che anche nell'Antimafia si faccia carriera grazie alle correnti che si rabbuia: «Guardi, ho avuto l'onore di lavorare con Pierluigi Vigna, poi, con Piero Grasso e prima ancora che divenisse procuratore nazionale con Franco Roberti, gli ultimi due con prestigiose carriere politiche. Come loro Nitto Palma, parlamentare e ministro della Giustizia, o Alberto Maritati, anch'egli parlamentare e sottosegretario. Tutti provenienti dalla Procura nazionale. La lotta alla mafia è tema così centrale nella vita del Paese che sarebbe finanche pericoloso che la politica ne affidasse le sorti solo ai magistrati, senza interloquire sulle loro nomine al fine di garantire alla nazione procuratori all'altezza. Lo prevede la stessa Costituzione con all'interno del Csm una qualificata presenza di laici. Quindi non mi scandalizza che un parlamentare del rango di Marco Minniti, pure lui ministro e con svariati incarichi di governo, interloquisca su queste nomine. Discorso a parte è se, poi, le nomine siano sempre quelle giuste o non prevalgano meccanismi spartitori anche a questa latitudine, il ché sarebbe un dramma». E intanto la 'ndrangheta, che qualche toga l'ha corrotta, se la ride... «Un magistrato autorevole come Nicola Gratteri lo ha denunciato apertamente e di recente e ci devo credere.

Certamente in tutta Italia la corruzione sta soppiantando le cosche e i soldi hanno più appeal dei santini. Tutto va bene, a condizione che le cosche non ne approfittino, come hanno fatto, per inserirsi nelle faide tra magistrati e nelle lotte per le carriere. Nel qual caso ridono a crepapelle».

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