"Gliela chiudo io la carriera al giudice". In carcere il terrorista nero Bellini

L'estremista intercettato dai pm mentre minaccia l'ex moglie e i magistrati che l'hanno condannato per la strage di Bologna

"Gliela chiudo io la carriera al giudice". In carcere il terrorista nero Bellini
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«Vuole fare una cosa apocalittica per chiudere la sua carriera. Mo' gliela chiudo io la carriera, gliela chiudo». Paolo Bellini ha settant'anni, ha attraversato cento misteri e mille traffici, adesso sulla testa ha una condanna all'ergastolo per avere piazzato insieme ad altri fascisti, quando aveva ventisette anni, la bomba alla stazione di Bologna: 2 agosto '80, la strage più sanguinosa di tutte. Fino a ieri Bellini aspettava a piede libero il processo d'appello. Ma mette su un piatto d'argento ai magistrati gli elementi utili a mandarlo a attendere l'appello in carcere. Perchè si fa intercettare mentre ne dice di tutti i colori: contro l'ex moglie, che lo ha incastrato per la strage testimoniando; e per il giudice che lo ha condannato, quello di cui si propone di «chiudere» la carriera: in che modo non si sa, ma un accenno («il figlio fa il diplomatico in Brasile») evoca una vendetta trasversale.

Le intercettazioni arrivano a Bologna dalle procure di Caltanissetta e Firenze, che tengono sotto controllo Bellini nelle indagini sulle stragi di mafia. Sarebbero rimaste segrete se non ci fosse stata l'esigenza di mettere l'estremista nero sotto chiave, prima che mettesse in pratica i suoi propositi. Ieri Bellini viene arrestato su richiesta della Procura generale di Bologna e portato nel carcere di Spoleto, le sue intercettazioni - riportate nell'ordinanza di custodia - diventano di dominio pubblico. E ripuntano i riflettori su uno dei personaggi più oscuri delle cronache giudiziarie, passato dalle file neofasciste ai clan mafiosi, confidente dei servizi segreti, poi collaboratore di giustizia. Un percorso che nelle sue chiacchierate Bellini quasi rivendica: «cinquant'anni, sono cinquant'anni di storie d'Italia dentro alle quali io sono stato dentro un po' di qua, un po' là, un po' di su, un po' giù».

Della strage anche nelle intercettazioni continua a proclamarsi innocente, a proclamarsi vittima di un complotto, «Io ho sopportato quarant'anni a stare zitto, tutto il fango che mi hanno buttato addosso per quarant'anni, quel gruppo specializzato. Infamità nei miei confronti e nei confronti di una classe politica particolare, va bene?». Ma anche qui, come se sapesse di essere ascoltato, butta lì la storia di un misterioso giuramento, fatto non si sa a chi: «non potevo contrastarli perché c'era di mezzo un giuramento, va bene? Ecco, adesso basta, hanno superato tutti i limiti». Frasi che sembrano fatte apposta per rafforzare le convinzioni su mandanti di un livello superiore, una zona grigia a ridosso delle istituzioni di cui sono da sempre convinti i parenti delle vittime, e che i giudici che hanno condannato Bellini sintetizzano dicendo che «all'attuazione della strage contribuirono in modi non definiti Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto».

Contro Bellini, che in passato per la stessa accusa era già stato inquisito e prosciolto, l'unico elemento concreto («granitico», lo definiscono i giudici) viene dalla ex moglie Maurizia Bonini, che l'ha riconosciuto in un filmato girato in stazione da una turista. «É lui, lo riconosco da una fossetta sul mento», ha detto.

E nelle intercettazioni che lo spediscono in carcere, Bellini le giura vendetta così: «Bonini pensi che finisce qui? Ho appena finito di pagare 50mila euro per fare fuori uno di voi Bonini eh, non si sa quale! Che Dio vi stramaledica tutti. Poi vedremo la fossetta e vedremo le fosse, fosse e fossette, ci sono anche le fosse».

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