La messinscena delle gabbie piace ai tagliagole dello Stato islamico, evidentemente sempre più determinati a spaventare con l'ostentazione delle loro brutalità i già intimiditi occidentali e i musulmani non disponibli a seguirli sulla strada del «califfato». Dopo aver fatto infuriare l'intera Giordania con le immagini spaventose del rogo dello sfortunato pilota Muath el-Kasasbeh, ora hanno deciso di provocare i curdi. E lo hanno fatto diffondendo un video come sempre accuratamente prodotto, che mostra l'umiliazione inflitta a ventuno prigionieri peshmerga in una località del nord dell'Iraq. I miliziani curdi vestiti con le ormai consuete tute arancione prima sfilano a bordo di pick-up mentre una folla li insulta, poi sono condotti ammanettati e con la schiena piegata verso le gabbie in cui vengono rinchiusi, ciascuno singolarmente. Il tocco finale è la grottesca intervista cui alcuni di loro vengono sottoposti da un barbuto «giornalista» dotato di microfono con tanto di logo Isis: i malcapitati, forse sperando così di salvarsi la vita, invitano i loro connazionali a smettere di combattere «contro i musulmani» e a rivolgersi piuttosto «contro gli infedeli». Tutto inutile: una voce a commento del video assicura che gli «ingabbiati» faranno la stessa fine di el-Kasasbeh.
Alcuni osservatori sono rimasti colpiti dal ritorno del numero 21, lo stesso dei cristiani egiziani sgozzati barbaramente in Libia (dove ieri a Tripoli l'Isis ha fatto esplodere un'autobomba). È probabilmente solo una coincidenza, mentre più interessante è la segnalazione - fatta da esperti di comunicazione e montaggio televisivo che hanno analizzato la clip per la tv americana Foxnews - di probabili ritocchi sulle immagini, magari per far sembrare i jihadisti alti due metri.
Dovrebbe far riflettere anche un altro video ambientato a Raqqa, la «capitale» dello Stato islamico in Siria: mostra decine di bambini in tenuta militare in fila in quello che viene presentato come il cortile di un campo di addestramento.
Sempre più evidente è comunque l'intento di intimidire governi e opinioni pubbliche nemiche, come dimostra anche l'ennesima provocazione contro l'Italia, quei due fotomontaggi apparsi sabato su un account jihadista che lanciano messaggi complementari. Nella prima un jihadista armato davanti al mare guarda verso una riproduzione del Colosseo su cui sventola la bandiera nera di al-Baghdadi. Una scritta avverte che l'Isis «dalla Libia sta arrivando a Roma». Nella seconda invece è disegnato il gasdotto Greenstream che da Wafa in Libia arriva a Gela, in Sicilia. «Le onde ancora ci separano, ma questo è un mare piccolo, è una promessa al nostro Profeta», minaccia il comunicato allegato ai nuovi proclami: «State attenti, ogni stupido passo vi costerà caro», ed è trasparente il riferimento al ruolo guida che l'Italia intende giocare per la stabilizzazione della Libia.
Dietro la propaganda, purtroppo, c'è anche l'orrore vero, come ieri in Nigeria dove Boko Haram ha mandato a far strage una povera bimba-kamikaze di 7 anni. Intanto, si avvicina la primavera e con essa l'annunciata operazione militare internazionale in Iraq per la riconquista di Mosul. Ieri il nuovo numero uno del Pentagono, Ashton Carter, è giunto in Kuwait per incontrare i generali americani che coordineranno l'attacco allo Stato islamico. Serviranno almeno ventimila uomini tra iracheni e curdi, e non è chiaro quale sarà il ruolo degli Stati Uniti.
Che intanto hanno di che preoccuparsi anche in casa propria, dopo che gli Shabaab somali, affiliati ad Al Qaida, hanno minacciato attentati nei grandi magazzini americani. Sotto stretta sorveglianza la numerosa comunità somala di Minneapolis.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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