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Un governo improvvisato non può ottenere fiducia

Niente di più facile, per chi insegue il consenso incurante del senso, che gridare alla sovranità lesa da coloro che in Europa avanzano la pretesa di sapere come spenderemo la valanga di miliardi di cui prima o poi disporremo

Un governo improvvisato non può ottenere fiducia

Niente di più facile, per chi insegue il consenso incurante del senso, che gridare alla sovranità lesa da coloro che in Europa avanzano la pretesa di sapere come spenderemo la valanga di miliardi di cui prima o poi disporremo. Un'inaccettabile mancanza di fiducia. Ma la fiducia che esigiamo dagli altri siamo noi i primi a non averla. Dal Leopardi del «Discorso circa lo stato presente dei costumi degl'italiani» agli aforismi dei Flaiano, dei Maccari e dei Longanesi le italiche menti più brillanti hanno versato fiumi d'inchiostro per raccontare i limiti di un popolo pervicacemente incline alla furbizia, alla vanità e all'irresponsabilità. Analisi tristemente coincidenti con i giudizi che gli intellettuali europei vergavano sui loro diari di ritorno dal «Gran Tour» nel Bel Paese tra Seicento e Ottocento.

Storia antica? Mica tanto. Fino a poco, ma davvero poco tempo fa, Matteo Salvini e i leghisti erano così scettici sull'affidabilità dell'Italia unita da voler abbandonare al proprio destino di cicala la metà meridionale della Nazione. Prospettiva antitaliana che neanche l'arcigno premier olandese Mark Rutte, pur avendo invocato un inaccettabile diritto di veto dei singoli Stati sull'attuazione dei piani di riforma, è arrivato a teorizzare. Anni fa chiesi a Francesco Cossiga con quale spirito la classe dirigente italiana nel 1992 aderì al Trattato di Maastricht, accettando di conseguenza la progressiva rinuncia a quote rilevanti di sovranità nazionale. «La consapevolezza che da soli non siamo in grado di governarci, e dunque la necessità che un vincolo esterno ci obblighi a quella virtù contabile che non ci appartiene», fu la risposta. Su due piedi, ne fui raccapricciato. Ma a giudicare, ad esempio, dalla cronica incapacità di spendere i fondi strutturali europei che da sempre caratterizza le regioni e i governi italiani del vero, evidentemente, c'era.

Perciò sarebbe opportuno sforzarsi di essere intellettualmente onesti. E con onestà riconoscere che il sospetto dei partner europei ce lo siamo guadagnato sul campo della Storia. Con altrettanta onestà intellettuale dovremmo riconoscere che in questa fase i vincoli monetari e di bilancio di cui ci siamo lungamente lamentati sono saltati e tanto la Commissione quanto la Germania stanno, anche se a fatica, mostrando quell'approccio «politico» e comunitario di cui da decenni lamentiamo l'assenza.

Più che concentraci sul fatto che ci vengono chieste garanzie sul buon utilizzo di prestiti e sussidi, pertanto, faremmo meglio a ragionare sul fatto che a darle non potranno essere questo governo improvvisato e questa maggioranza sfarinata.

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