Il governo, per compiacere la Cgil in funzione referendaria, promette una stretta sui controlli in materia di lavoro. Il governo, per recuperare sul fronte sinistro, ammette che il Jobs Act non ha cancellato il «nero» e, sotto sotto, è pronto a sconfessare la riforma principe del renzismo.
Parole del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che ieri ha ricordato che «in questo momento abbiamo in discussione in Consiglio dei ministri un correttivo alla legge delega: quello che vogliamo fare è la tracciabilità dei voucher». Poletti, che si trovava a Lecce ospite di una manifestazione della Cgil, ha precisato che si tratta di «un primo intervento finalizzato ad un uso legale, corretto e coerente a quello che dice la legge». Un chiaro tentativo di venire incontro a Susanna Camusso la cui battaglia contro il Jobs Act comprende anche la cancellazione dei voucher. Il sindacato ha una sponda forte nel presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ieri è tornato a stigmatizzare «le elusioni e le illegalità, come l'utilizzo improprio dei voucher», fenomini da combattere «per sconfiggere le disuguaglianze».
Perché la Cgil si scaglia contro questa forma di pagamento del lavoro accessorio inventata dal governo Berlusconi nel 2008 e che tanto successo ha riscosso? Perché i buoni lavoro, originariamente pensati per pagare prestazioni e contributi del giardiniere, del professore che dà ripetizioni o della babysitter, hanno registrato nell'ultimo anno e mezzo un vero boom. Nel 2015 sono stati staccati 115 milioni (+75,4% annuo) di voucher da 10 euro (2,5 vanno a Inps e Inail): li hanno usati 473 mila committenti e li hanno ricevuti circa 1,4 milioni di lavoratori. Nel primo trimestre 2016 una nuova esplosione (+45%).
Come ha rivelato l'Inps l'anno scorso 250mila imprese dell'industria e del commercio hanno utilizzato il 76% dei voucher con il turismo (75mila aziende) a farla da padrone. In pratica, il mezzo per pagare il lavoretto occasionale è diventato un modo per pagare i dipendenti, magari aggiungendovi un po' di nero. Per la Cgil è colpa del Jobs Act che ha elevato a 7mila euro netti l'importo annuo cumulabile da ogni lavoratore. Per il governo è colpa della facilità di reperimento (tabaccherie e poste) che garantisce l'anonimato del compratore. Ecco perché nel dlgs di riforma è stata inserita la procedura di attivazione del buono tramite sms indicando chi lo usa e chi lo riceve.
Poletti, però, ieri ha rincarato la dose. «Questo non significa che consideriamo chiusa questa discussione», ha aggiunto sottolineando che «faremo un monitoraggio dell'esito dell'intervento: se la tracciabilità ci dice che i voucher tornano a una dimensione ragionevole, coerente con il loro impianto bene, ma se questo non fosse siamo pronti a discutere e a cambiare, siamo interessati a vedere i risultati non a difendere in astratto le leggi». Un modo per non perdere il filo con Camusso già coinvolta nella nuova concertazione sull'anticipo pensionistico. Il voucher è «va cancellato: un istituto che non funziona, che si presta a tutti gli abusi, che ha sostituito il lavoro stabile».
Nessuno, però, ha sottolineato che il calo del 33% dei contratti a tempo indeterminato nel primo trimestre 2016 è figlio della riduzione dello sgravio contributivo sui neoassunti. Un fisco che porta via il 49% delle buste paga non lo tocca la Cgil e non lo tocca il governo. Meglio prendersela con il Jobs Act rinnegando se stessi.
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