Il governo sfrutta la manovra per garantirsi tre anni di vita

La legge di Stabilità allo studio prevede sgravi fiscali fino al 2018: per mantenere le promesse servono 45 miliardi. E Palazzo Chigi pensa di aumentare il deficit

Il governo sfrutta la manovra per garantirsi tre anni di vita

Il presidente del Consiglio ha più volte garantito che la legislatura finirà alla sua scadenza naturale. Cioè, nel 2018. E fa bene a precisarlo. Non foss'altro perché lo schema di legge di Stabilità allo studio del ministero dell'Economia, più che una manovra espansiva sembrerebbe una manovra elettorale.

Clima confermato anche dalla presa di posizione di Tito Boeri sul taglio dell'assegno per chi anticipa la pensione. Non sarà del 30% - dice il commissario dell'Inps - ma sarà «equo».

Ma se la natura della politica economica si vedrà dalla sfida delle tasse. Nel 2016 Palazzo Chigi vuole eliminare quella sulla prima casa. Onere a carico del bilancio, 5 miliardi. Nel 2017 è poi la volta della riduzione al 24% dell'aliquota Ires, l'imposta a carico delle società. E la cifra da coprire sale a 20 miliardi: l'1,4% del Pil. Nel 2018, anno di fine legislatura e del triennio preso in considerazione dalla prossima legge di Stabilità, il governo vuole rivedere aliquote e scaglioni dell'Irpef. Costo, altri 20 miliardi.

Già Morando fa capire che buona parte di queste mancate entrate non verranno compensate da minori spese. E non può essere altrimenti. Se lo Stato tagliasse - nel complesso - 45 miliardi sottrarrebbe all'economia reale 3 punti di Pil; in quanto, le riduzioni di spese (non accompagnate da riforme strutturali, i cui effetti si sviluppano nel medio lungo periodo) verrebbero effettuate sui consumi intermedi dello Stato. Cioè, sugli acquisti di beni e servizi che i privati vendono alla pubblica amministrazione.

Ne consegue che in massima parte le operazioni di riduzione fiscale verranno effettuate «a deficit». Con buona pace del rispetto dei Trattati europei. Ma nessuno in Europa può fare troppo il fiscale sul tema: l'Italia è tra i pochi paesi che registrano un disavanzo sotto il 3%. E sebbene i Trattati impongano il pareggio di bilancio, in nome del principio della flessibilità di bilancio gli Stati «manipolano» i conti con ampia libertà. Ora per la congiuntura negativa, ora per il «peso» delle riforme, ora per volontà politica.

Unica condizione da rispettare: la richiesta formale di un rinvio del pareggio di bilancio. L'Italia lo ha pianificato nel 2018. Ma può impegnarsi con Bruxelles di raggiungerlo nel 2020/21. A patto di conservare il deficit sotto il 3% ed in diminuzione costante.

Obbiettivo raggiungibile, visto il profilo di finanza pubblica. Nei fatti il governo sta già ragionando di portare il deficit 2016 al 2,5%, al posto dell'1,8% programmato; di far salire il disavanzo del 2017 dallo 0,8 al 2,2% (lo sconto fiscale per le imprese vale l'1,4% del pil); di portare il deficit del 2018 all'1,5% (quasi integralmente assorbito dallo sconto Irpef, 20 miliardi). E di rinviare il pareggio al 2020/21.

Per conquistare le concessioni europee e la fiducia dei mercati, il governo conta di varare per il 2016 una manovra da 25 miliardi: ha annunciato il viceministro all'Economia Morando. Di questi 25 miliardi, 16 serviranno per annullare le clausole di salvaguardia (aumenti della benzina e dell'Iva) introdotte per la mancata efficacia dei risparmi derivanti dalla spending review. Morando spiega, però, che per coprire parte di questi 16 miliardi, i due terzi (10 miliardi) arriveranno da un'altra spending review . Altri 6 miliardi arriveranno dallo sconto sul deficit prodotto dal bonus per le riforme. E così via. È assai probabile che la parte restante della manovra arriverà da tagli più o meno orizzontali ai vari ministeri. E magari da una profonda revisione del sistema di finanziamento della spesa sanitaria.

L'operazione che il governo ha in mente sui conti pubblici, però, può funzionare solo se la logica politica prende il sopravvento sulla quella aritmetica dei burocrati europei.

A quel punto, la manovra elettorale può davvero trasformarsi in manovra espansiva.

L'entità della manovra che il governo si appresta a varare: 16 miliardi serviranno per eliminare le clausole di salvaguardia, 4,5 per cancellare la Tasi, il resto per Sud e sviluppo

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