Il governo è sotto accusa. "Cdp usata a fini politici"

L'accusa della Corte dei conti: Cassa depositi e prestiti da custode del risparmio opera fuori dai suoi compiti

Il governo è sotto accusa. "Cdp usata a fini politici"

Roma - La ripresa del Paese per il premier Matteo Renzi e per il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan passerebbe attraverso la politica economica fatta dalla Cassa depositi e prestiti, ovvero la società per azioni, partecipata dal ministero dell'Economia e delle finanze per l'80,1% e da fondazioni bancarie e altri per la restante percentuale che si occupa, tra le altre cose, del finanziamento degli investimenti statali. Peccato che sia tutta una bufala, perché la Corte dei Conti ha massacrato la gestione Cdp nella relazione sul controllo degli esercizi 2014-2015 puntando l'attenzione sull'esposizione dei conti della Cdp alla flessione dei prezzi del greggio, attraverso la partecipazione in Eni. Di più: secondo quanto scrivono i magistrati, la Cdp si affida, per i propri equilibri futuri, «ai dividendi delle partecipate», ma si sottolinea che «se le quotazioni del greggio non dovessero migliorare, nelle casse di Cdp potrebbero mancare proprio gli apporti derivanti dalla partecipazione in Eni (pari al 25,76% del capitale)».

Nella relazione si considera come «alla luce dei risultati del biennio 2014/2015, va osservato che gli effetti e le ricadute della crisi economica hanno contribuito ad accelerare la trasformazione della Cdp da cassa semi-pubblica, custode del risparmio postale ed erogatrice dei mutui per gli enti locali, a vero e proprio strumento di politica industriale». La Corte dei Conti puntualizza come, per il periodo di riferimento, siano «aumentate le richieste di intervento di Cdp in situazioni di particolare criticità economica: sblocco dei crediti verso la pubblica amministrazione, finanziamento di infrastrutture, salvataggi di imprese in crisi (l'Ilva, in passato Parmalat, Montepaschi e Alitalia) o alla ricerca di capitali (Saipem, Fincantieri), interventi in favore degli enti locali (vedi il contratto di finanziamento in favore del Comune di Roma per 4,8 miliardi di euro), partecipazione al fondo nazionale di risoluzione e al fondo Atlante. Interventi, questi, che hanno portato Cdp, in alcuni casi, a operare ai margini della propria compatibilità statuaria».

Insomma, dal controllo si evidenzia un periodo di «flessione relativa all'anno 2014, soprattutto a causa della riduzione dei tassi di interesse, con un risultato a fine anno pari a 2.170 milioni di euro in diminuzione di circa il 7,6% rispetto al 2013». Per l'anno successivo «l'utile di esercizio di Cdp si è attestato a circa 893 milioni di euro, in diminuzione del 58,85% rispetto alla chiusura dell'anno precedente. Il negativo, nel 2015, è di 859 milioni, a causa, in particolare, della perdita netta di 8,8 miliardi registrata dal gruppo Eni nello stesso esercizio».

Il responsabile economico della Lega Nord, l'economista Claudio Borghi, spiega come «contare sulla Cdp sia come cercare di tirarsi fuori dalla palude aggrappandosi al codino, perché si cerca di sopperire al fatto di non poter avere i soldi, visto che abbiamo regalato alla Bce la possibilità di stamparli fregandoli a qualcun altro, ovvero ai correntisti postali, con la scusa che alle post non vige la regola del bail-in. Lo sviluppo di un Paese dovrebbe passare attraverso denaro creato dalla Banca centrale, non per i soldi dei correntisti. Quelle di Renzi son tutte bugie».

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