La grande incertezza e lo spettro dello "stallo coreano"

Mosca si attesta oltre il fiume, l'inverno stabilizzerà i fronti. Putin, in difficoltà, diserta il G20

La grande incertezza e lo spettro dello "stallo coreano"

«La Russia è qui per sempre», recitano i cartelloni che gli ucraini stanno facendo a pezzi nella liberazione di Kherson. E adesso cosa succede, dopo il ritiro delle truppe russe sulla riva orientale del fiume Dnipro?

Prima di tutto bisognerà capire quale sarà la sorte di Nova Kakhovka, poco più a Nord. Cittadina strategica per la diga e il canale idrico che riforniscono la Crimea annessa dal Cremlino nel 2014. Negli otto anni di guerra precedente per il Donbass gli ucraini avevano chiuso il rubinetto dell'acqua. Dopo l'invasione del 24 febbraio i russi l'hanno riaperto per il beneficio della penisola. Se perdessero anche Kakhovka il rifornimento idrico dovrebbe arrivare via terra e attraverso il ponte di Kerch, che a breve rischia di finire nel raggio di azione delle moderne batterie ucraine fornite dagli americani. Non è un caso che proprio ieri, il consigliere del ministero della Difesa, Yuriy Sak, abbia ribadito, una volta in più, che bisogna liberare pure la Crimea. In realtà la prima sfida sarà la bolla di 25-30 km attorno alla diga di Nova Kakhovka con i russi attestati anche sulla parte occidentale del Dnipro.

L'abbandono di Kherson è una cocente sconfitta simbolica, ma militarmente si tratta di un ripiegamento tattico oculato, che ha portato dall'altra parte del fiume 30mila uomini evitando una sacca. Sulla riva sinistra i russi si sono trincerati e non prevedono ulteriori ritirate. E per gli ucraini sarà molto dura avanzare oltre il fiume. Il generale inverno rallenterà le manovre fino a quando il terreno congelerà verso febbraio. In coincidenza con il triste anniversario del primo anno di guerra e il previsto dispiegamento completo dei 300mila riservisti autorizzati dal Cremlino. Se questi mesi non serviranno ad avviare una trattativa è probabile che i russi torneranno all'offensiva nei territori, già riconosciuti, che volevano occupare fin dall'inizio. Le forze di Kiev continuano a tenere il fronte a un passo dall'aeroporto di Donetsk e ai russi manca il 45 per cento del territorio per completare la conquista del Donbass.

Impresa ardua e sanguinosa, che potrebbe venire evitata da un serio negoziato di pace. Il G20 di Bali della prossima settimana, con l'assenza di Putin, è un'occasione perduta, ma il presidente Joe Biden vedrà il leader cinese. E Xi Jinping considera il conflitto in Ucraina una maledizione. Pechino può premere su Mosca, ma i canali segreti fra russi e americani sono aperti e sempre più attivi da oltre un mese. La Casa Bianca, però, è divisa fra consiglieri come Jake Sullivan, della sicurezza nazionale, deciso a non dare tregua al nemico e il generale Mark Milley, capo dello stato maggiore congiunto, che al contrario interpreta Kherson e 100mila russi morti o feriti in combattimento (idem per gli ucraini) come segnali forti che è ora di trovare una via d'uscita.

Una fonte occidentale a Mosca spiega al Giornale che l'ipotesi più accreditata è un lento scivolamento verso uno scenario «coreano». Nessuna pace, ma linee del fronte sempre più stabili con l'impossibilità di grandi avanzate, come due pugili suonati dopo l'ultimo gong.

In pratica si tornerebbe al punto di partenza della guerra del Donbass, ma con più territorio occupato dagli invasori, che hanno comunque unito via terra la Russia alla Crimea. Un motivo in più per una vera e giusta pace, che è sempre la vittoria migliore.

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