
Può una ragazza stuprata da un branco per una notte intera alzarsi la mattina e continuare a vivere? Sì, dice ieri Giulia Bongiorno: può. Il 17 luglio 2019 S., studentessa italo-norvegese ospitata a casa Grillo, andò effettivamente in spiaggia: "La mattina dopo lo stupro subito la ragazza ha continuato a fare la sua vita, facendo anche kitesurf, perché aveva un solo problema: sopravvivere quello che le è successo. E doveva fingere di essere come prima". È l'ultima udienza dell'interminabile processo a Ciro Grillo e ai suoi tre amici accusati di violenza carnale di gruppo. La Bongiorno difende S., la presunta vittima: e con quella frase prende di petto la più insistita delle linee difensive del quartetto, quella che controaccusa la ragazza di avere fatto sesso con tutti di sua volontà, lucide a allegra: e a dimostrarlo sarebbero proprio i suoi spensierati comportamenti successivi. Non è vero, dice la Bongiorno: S. aveva solo bisogno di riprendersi la sua vita. Oggi, la sentenza. S. in passato è già stata in aula, a rendere testimonianza. Ma a porte chiuse. Oggi, se verrà, dovrà affrontare il mondo della giustizia e dei media a viso aperto. "Lei da un lato vorrebbe venire - dice la Bongiorno - dall'altro è ovvio che già tornare in Sardegna, per lei è un problema". Un dato è certo: "Aspetta questo momento da sei anni". E lo aspettano anche i quattro ragazzi finiti sul banco degli imputati, inghiottiti insieme a S. da un processo di durata inimmaginabile. I quattro - Ciro Grillo, Vittorio Lauria, Francesco Consiglia e Edoardo Capitta - si proclamano innocenti. Rischiano nove anni. Della loro innocenza è certo anche Beppe Grillo, padre di Ciro, la cui figura incombe dall'inizio sulla vicenda, amplificandone l'eco, e che in un video accorato ("arrestate me") lo ha difeso a spada tratta. Ma ieri in aula sia la Bongiorno che il procuratore Gregorio Capasso, nelle loro ultime repliche, non lasciano spazi di dubbio. Parole nette e pesanti. Per la Procura, la prova della colpevolezza dei quattro sta tutta nella testimonianza chiave: quella di S., la vittima, precisa ed attendibile prima ancora che nelle denunce ai carabinieri nel racconto che al risveglio fa all'amica R., che era con lei in vacanza, come lei arruolata dalla "cumpa" dei genovesi in un locale dove erano già alticce. Capasso riassume così il racconto di S. all'amica: "La ragazza fin da subito, dopo la violenza, fa i nomi di tutti. Sente dire a uno di loro: Prendila, adesso tocca a me. È lei a dire: Ricordo che tutti parlavano con tutti, li sentivo tutti attorno a me, vedevo con la coda dell'occhio anche le gambe. È sempre lei che testimonia la presenza di tutti". Ancora: "La ragazza dopo la violenza riuscirà a scendere dal letto perché Francesco Corsiglia si è distratto e lei ne approfitta e cerca di andarsene. Ma troverà l'opposizione degli altri tre ragazzi. Subito dopo seguirà l'episodio violento nella doccia".
Scene da Arancia meccanica, che per la parte civile nascono da un approccio brutale dei quattro ai rapporti con l'altro sesso, confermato dai messaggi che i ragazzi si scambiano nelle ore successive: "Un'idea della donna ridotta a oggetto, priva di autonomia", "si scrivono: si è gocciata la vodka ed è diventata una troia".
Sull'altro piatto della bilancia, a rendere in parte incerto l'esito della sentenza di oggi, per uno dei difensori dei quattro "i buchi, le contraddizioni, i vuoti" del racconto della ragazza tali "che dubito che si possa cercare di trarre una linearità di una narrazione che possa avere un senso giuridico".