Berlino I giochi saranno fatti lunedì o martedì, quando la cancelliera Angela Merkel per la Cdu incontrerà Martin Schulz della Spd. Con loro ci sarà anche Horst Seehofer, leader dei cristiano-sociali (Csu), versione bavarese e conservatrice della Cdu. Se non fosse che al posto di Schulz fa c'era Sigmar Gabriel, l'incontro rispecchia quello che quattro anni fa dette vite alla seconda grande coalizione della cancelliera, un'alleanza bipartisan fra moderati e socialdemocratici. In meno di una settimana, insomma, la Germania è passata dalla Giamaica (l'alleanza nero-giallo-verde alla quale Merkel ha lavorato per due mesi) a una replica della große Koalition che ha governato il paese fra il 2013 e il 2017. Merito del presidente federale Frank-Walter Steinmeier: saltata la Giamaica per il gran rifiuto dei Liberali, il capo dello Stato ha pregato il suo partito, la Spd, di riconsiderare l'accordo bipartisan di quattro anni fa. Ricevuto il messaggio, Schulz ne ha discusso con gli altri dirigenti del partito. Dopo una lunga discussione, i socialdemocratici si sono detti disponibili a parlare sottolineando però che il colloquio «non è di per sé la soluzione» per la formazione di un nuovo governo. «Dicendosi disponibile al dialogo Schulz sta cercando di guadagnare tempo», spiega al Giornale Oskar Niedermayer, politologo emerito della Freie Universität Berlin. Dallo scorso settembre Schulz ha ribadito a giorni alterni che l'Spd deve restare all'opposizione, «e adesso deve salvare la faccia con i compagni di partito». Non tutti sono contrari a tornare al governo con Merkel, da molti definite una cripto-socialdemocratica dopo le sue molte aperture alle battaglie della sinistra (dal nucleare all'accoglienza ai profughi). Ancora non è chiaro se l'Spd voglia restare nelle stanze del potere che occupa da 4 anni oppure se preferisca negoziare un accordo di desistenza con la Cdu. Merkel, in altre parole, guiderebbe un governo di minoranza tenuto in vita dall'astensione dei suoi ex alleati. «La cancelliera ha già detto di non gradire questa soluzione», ricorda Niedermayer, osservando che se ieri la carriera a rischio era quella di Merkel, oggi è Schulz che rischia di perdere il posto.
«Il congresso del partito socialdemocratico è solo fra due settimane e al momento non ci sono candidati alternativi». Se però passerà la linea di una replica della große Koalition, «Schulz potrebbe anche dimettersi». La situazione, insomma, resta molto fluida. Fra le poche certezze c'è che, sondaggi alla mano, i socialdemocratici preferiscono aiutare Merkel piuttosto che tornare alle urne e rischiare l'ennesima umiliazione. Se invece riusciranno a condizionare il prossimo governo e a ottenere qualche risultato di sostanza, come una riforma delle pensioni che non leda i diritti del loro elettorato (ossia dei baby-boomer), «potrebbero tenere in vita la legislatura per un paio di anni e poi ottenere un ritorno alle urne in un momento più favorevole», magari fra un paio di anni.
Fra grandi coalizioni e governi di minoranza, Niedermayer non scommetterebbe invece sulla nascita dell'alleanza Kenya nero-rosso-verde. «Mi sembra un'ammucchiata poco utile, soprattutto per i Verdi che, schiacciati da due partiti più grandi di loro, finirebbero per non avere alcuna visibilità».
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