Il dado ora è tratto. La vera guerra al Califfato è iniziata. Un mese e passa dopo le prime operazioni nel nord dell'Irak Barack Obama attraversa il Rubicone siriano e dà il via alla fase più complessa e rischiosa dello scontro con lo Stato Islamico. «Non è una guerra che riguarda solo l'America Abbiamo inviato un messaggio al mondo: siamo più forti se uniti» spiega il presidente Usa nel breve discorso con cui ieri spiega le ragioni dell'intervento. Tutto inizia nella notte di martedì con il ronzio dei droni in volo di ricognizione sulle principali roccaforti dello Stato Islamico nel nord est della Siria e a ovest di Aleppo. Poi, dopo meno di mezz'ora, l'inferno. Le scie di 47 missili Tomahawk, lanciati dal cacciatorpediniere Arleigh Burke nel Mar Rosso e dall'incrociatore USS Philippine Sea nell'Oceano Indiano solcano il buio della notte e colpiscono Raqqa, Deir Azzor, Al Hasakah, Abu Kamal e la provincia di Idlib ad ovest di Aleppo. Subito dopo arrivano i caccia bombardieri F18 Hornet decollati dalle portaerei Bush nel golfo Persico seguiti dai raid dei bombardieri «invisibili» B1 di stanza ad Al Udeid nel Qatar e le incursioni degli F15 ed F16 basati negli Emirati Arabi. E verso la fine si presenta all'appuntamento anche un assortimento di Mirage 2000 ed F16 con le insegne di Arabia Saudita, Bahrain, Giordania, Emirati Arabi e, forse, del Qatar. Sul terreno si raccolgono una settantina di cadaveri e circa trecento feriti mentre vengono distrutti o danneggiati una ventina fra campi d'addestramento, centri di comando, depositi di mezzi e munizioni, strutture per la produzione di esplosivi, centri di comunicazione e un buon numero di camion e veicoli blindati.
Per capire cosa e perché Washington volesse colpire basta guardare la mappa degli obbiettivi. La roccaforte di Raqqa, quartier generale dell'Isis, Deir Azzour e Abu Kamal sono tre centri nevralgici sull'asse che collega il versante siriano del Califfato e quello iracheno. Colpendole si taglia quel cordone ombelicale su cui si muovono nei due sensi armi, denaro, militanti e approvvigionamenti. Un cordone ombelicale che ha, fin qui, reso assai poco efficaci i raid aerei sulle roccaforte irachene dell'Isis. L'altro obbiettivo nevralgico di questa prima sortita è Hassakeh, la base da cui si muovono le milizie dello stato islamico impegnate in quell'offensiva anti curda che sta spingendo oltre centomila profughi oltre la frontiera turca. I bombardamenti di ieri puntano a bloccare quest'offensiva, impedire la caduta della città curda di Kobane e tener lontano l'Isis dalla frontiera turca. Un discorso a sé merita invece il raid condotto, esclusivamente dagli Stati Uniti, contro le postazioni delle milizie alqaidiste di Khorasan nella provincia di Idlib, a ovest di Aleppo dove sarebbe rimasto ucciso il leader Muhsin al Fadhli.
Il raid contro questa formazione di veterani jihadisti provenienti da Pakistan e Afghanistan e fedeli al capo di Al Qaida Ayman Al Zawahiri si è reso necessario, secondo lo stesso presidente Barack Obama, per sventare un attacco terroristico contro gli Stati Uniti con bombe nascoste sugli aerei. «Non tollereremo chiunque cerchi di colpire gli Usa», ha detto Barack Obama spiegando quella scelta. In verità il raid potrebbe servire a garantire una parvenza di legittimità a tutto l'intervento sul territorio siriano. L'attacco oltre a non esser stato richiesto da Damasco (informata solo pochi minuti prima dell'inizio dei bombardamenti attraverso il suo ambasciatore al Palazzo di Vetro) non è stato ratificato né da un voto dell'Onu, né dello stesso Congresso americano. Dunque si tratta di un'operazione assai discutibile dal punto di vista del diritto internazionale.
Rivendicando la necessità di bloccare un attentato in preparazione, Obama può invocare il diritto all'autodifesa garantito dall'articolo 51 della Carta dell'Onu esteso - dopo l'11 settembre - a tutte le minacce derivanti da imminenti atti di terrorismo. Il dato politico è l'assenza, per la prima volta nella storia dei conflitti recenti, di un alleato come l'Inghilterra.
Ma tra i grandi assenti c'è anche una Francia che ha già chiarito di voler limitare il suo coinvolgimento al versante iracheno della guerra. Sia Parigi sia Londra sembrano, con la loro assenza, prendere le distanze da un intervento privo di legittimità e gravido di pesanti ripercussioni interne in caso di fiasco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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