Guerra aperta ai democratici Via il ministro della Giustizia

Trump caccia la Yates, contraria al suo decreto sui rifugiati. E ai diplomatici critici: «Potete andarvene»

N on si placa negli Stati Uniti la bufera per la stretta sull'immigrazione decisa dal presidente Donald Trump, e l'ex amministrazione democratica tenta l'ultimo sgambetto. Il ministro della Giustizia reggente Sally Yates, ultimo baluardo dell'era di Barack Obama, ha deciso di sfidare il tycoon sul decreto che congela l'ingresso di rifugiati e cittadini provenienti da sette paesi a maggioranza islamica. Yates ha infatti ordinato al suo Dipartimento di non difendere l'ordine, scatenando l'ira di Trump: «Sono responsabile di assicurare che le posizioni assunte in tribunale siano coerenti con l'obbligo solenne dell'istituzione di cercare la giustizia - ha detto la funzionaria - Al momento, non sono convinta che la difesa del decreto sia in linea con queste responsabilità e non sono convinta che sia legale». Una mossa che ha causato il suo licenziamento a tempo di record. A sostituirla, sino a che il ministro nominato Jeff Sessions non sarà confermato dal Senato, sarà Dana Boente, procuratore della Virginia. Yates «ha tradito il Dipartimento di Giustizia rifiutando di attuare un ordine messo a punto per difendere i cittadini americani», ha tuonato la Casa Bianca. Mentre il consigliere Stephen Miller ha precisato che la sua direttiva «è un'ulteriore dimostrazione di come il sistema giudiziario Usa sia politicizzato». Quindi, l'amministrazione Trump ha difeso per l'ennesima volta l'ordine esecutivo: «É il momento di essere seri nel proteggere il Paese. Chiedere controlli accurati per gli individui che arrivano da sette posti pericolosi non è estremo, è ragionevole e necessario per tutelare la nazione».

Proprio da Pennsylvania Avenue, però, è arrivata una piccola apertura, con il via libera all'ammissione di 872 rifugiati che erano già pronti ad entrare negli Usa, facendo così eccezione alla sospensione temporanea del programma di accoglienza. «Il loro rifiuto causerebbe difficoltà ingiustificate», è stata la motivazione. Ed è stato risolto anche il problema dei cittadini europei con doppia cittadinanza dei sette paesi a maggioranza islamica, che non saranno interessati dalla misura. Nonostante questo, è montata la protesta anche tra i diplomatici americani, con oltre cento di loro che hanno firmato un memo di dissenso per manifestare ai vertici del Dipartimento di Stato il disaccordo su precise azioni del governo. «Chi non aderisce al programma se ne può andare», è stato il duro monito del portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer. Intanto il tycoon è andato all'attacco dei democratici su Twitter, accusandoli di «ritardare» l'approvazione «di coloro che ho scelto per il mio gabinetto solo per motivi politici».

Proprio ieri, in segno di protesta per il licenziamento di Yates, i membri del partito dell'Asinello hanno boicottato le sedute della commissione finanziaria del Senato per le conferma di Steve Mnuchin come segretario al Tesoro e Tom Price alla Sanità, causando quindi lo slittamento delle nomine. Secondo i media Usa, inoltre, The Donald si sta preparando a siglare una misura sulla cyber-sicurezza che prevede una profonda revisione delle capacità difensive e offensive del governo.

In primis con una serie di verifiche e controlli su diverse agenzie federali, quelle maggiormente impegnate nella lotta agli hacker di vari Paesi, con l'obiettivo di rafforzare la protezione delle infrastrutture più critiche.

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