Cronache

La guerra dei sessi che umilia l'Aniene

L'assemblea del Circolo Aniene di Roma, uno dei più antichi d'Italia e fucina di campioni sportivi di ambo i sessi, ha modificato lo statuto che impediva alle signore di diventarne socie

La guerra dei sessi che umilia l'Aniene

L'assemblea del Circolo Aniene di Roma, uno dei più antichi d'Italia e fucina di campioni sportivi di ambo i sessi, ha modificato lo statuto che impediva alle signore di diventarne socie. Nulla di rilevante, salvo che l'intera vicenda, di uno squallore infinito, nulla c'entra con la parità di genere, che è conquista di civiltà e fondamento delle élite romana e italiana. Dispiace per le pasionarie radical chic, ma questa battaglia è stata già vinta prima di loro, negli anni '70, e tanti di noi l'hanno combattuta al fianco delle ragazze, non contro. Approfittando di questa finta battaglia che però scalda le anime semplici, alcuni semi-politicanti del sottobosco romano hanno lanciato una campagna per colpire il simbolo del Circolo Aniene, il potente presidente del Coni Giovanni Malagò. Spalleggiati da Repubblica, testata ansiosa di dare soddisfazione a chi di quel circolo non fa né mai farà parte, hanno esercitato ogni sorta di minaccia affinché lo Statuto fosse modificato. Comprimendo quella libertà regolata dall'articolo 18 della Costituzione: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». Nel privato di casa propria, uno sarà ancora libero di decidere chi invitare o non più? Ma i tempi sono cambiati, c'è la parità di genere. Giusto e sacrosanto. In pratica che significa? Me l'ha spiegato una giovane ventenne cresciuta negli ambienti dei circoli romani ma residente all'estero e ormai cittadina del mondo: «Parità di genere è avere la possibilità, come donne, di avere il nostro circolo. Non obbligare l'Aniene ad accettare le donne». Tuttavia, il punto non è: donne sì / donne no. Il punto è chi decide. Formalmente e giuridicamente, solo i soci dell'Aniene potevano modificare il loro Statuto. L'hanno fatto, sotto la minaccia di rendergli la vita difficile con le concessioni pubbliche su cui insistono le strutture. La bontà del fine, favorire le donne, non giustifica la gravità scandalosa del mezzo: la minaccia. Parola che ricorre pure nel reato di estorsione. Di peggio c'è solo la statura dei soci Aniene, che non hanno trovato il coraggio e la forza di resistere con ogni mezzo, e ce ne sarebbero a iosa. D'ora in avanti non saranno quelli che hanno aperto alle donne, ma solo quelli deboli che si sono piegati. Bel modo di onorare una storia ultracentenaria. Se al loro posto ci fossero state le donne, mai e poi mai si sarebbero piegate. Perché loro sì che l'hanno...

il carattere.

Commenti