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Guerra di gang in carcere 116 morti, 5 decapitati "Giocavano con le teste"

Carneficina horror nella più grande prigione del Paese. Proclamato lo stato di emergenza

Guerra di gang in carcere 116 morti, 5 decapitati "Giocavano con le teste"

San Paolo. Erano le 11.30 di martedì ed in un quartiere periferico di Guayaquil, la città più popolosa dell'Ecuador, Elisabeth Viteri stava preparando da mangiare per la figlia di 5 anni. All'improvviso su Whatsapp riceve un video che le raggela il sangue. Nella registrazione, di soli nove secondi, si vedono cinque teste mozzate, una sesta è in disparte. Un detenuto ci sta giocando come se fosse un pallone invece di un cranio insanguinato.

Guardando le immagini Elizabeth si rende conto che uno dei decapitati è il padre di sua figlia, Arturo Jacinto Salazar Sánchez, che da un anno scontava una condanna per associazione a delinquere presso il «Centro di riabilitazione sociale maschile numero 1» di Guayaquil, la prigione più grande dell'Ecuador. El Litoral, così lo chiama la gente della strada, è il più grande carcere del paese sudamericano ed è stato teatro, martedì scorso, di una carneficina da film horror. Granate, armi pesanti e kalashnikov con esplosioni che sono state ascoltate anche nei quartieri più distanti di Guayaquil, urbe che è uno snodo fondamentale del narcotraffico internazionale. Ma anche tanti machete per decapitare i rivali. Già perché quello di tre giorni fa è stato il più terribile scontro tra bande criminali legate al traffico di droga mai accaduto in Sudamerica. Ieri mattina il bilancio, per forza di cose ancora provvisorio non essendo più entrate le autorità dall'alba di martedì nel padiglione 5, epicentro della mattanza, era di almeno 116 detenuti morti ed oltre 80 feriti, alcuni dei quali in condizioni critiche. «Sì è lui. È la testa di mio marito, non ho dubbi», racconta in lacrime Elisabeth al quotidiano Extra. «Poche ore prima avevamo parlato al telefono e lui mi aveva chiesto della bambina, mi aveva detto che gli mancavamo. Era nel padiglione 5 ed aveva ancora due anni da scontare», singhiozza la donna, circondata da parenti di altri detenuti, che ieri stavano aspettando i cadaveri dei loro cari.

La guerra, davvero barbarica, è scoppiata tra le due bande narcos che negli ultimi anni si contendono il lucrativo mercato degli stupefacenti nella «perla del Pacifico», come viene descritta Guayaquil ai turisti: «Los Choneros», che prendono il nome dalla città litoranea di Chone, 150mila abitanti nella zona centro-nord dell'Ecuador, e «Los Lobos», che in italiano sarebbero «i Lupi». Casus belli specifico, ottenere la supremazia nel narcobusiness con i cartelli messicani di Sinaloa, quello del famigerato «Chapo» Guzmán, alleato dei «Choneros» e quello del Jalisco Nueva Generación (CJNG), che invece in Ecuador si appoggia sui «Lupi». Secondo la polizia ecuadoriana, queste due gang criminali possono contare su oltre 20mila membri effettivi armati distribuiti su tutto il territorio nazionale. Solo due settimane fa, un'altra prigione era stata attaccata con droni esplosivi, mentre da inizio 2021 quella di martedì è la quarta rivolta carceraria finita nel sangue.

Il presidente ecuadoriano, Guillermo Lasso, ha dichiarato ieri lo stato di emergenza in tutto il sistema carcerario del paese per 60 giorni. Inoltre, è stata ordinata la mobilitazione delle Forze Armate e della Polizia per «ristabilire l'ordine e prevenire nuovi eventi violenti». Dichiarazioni di circostanza a parte, ieri sera una fonte della polizia chiariva che non era «ancora possibile parlare di una cifra esatta, perché ci sono corpi che rimangono ancora all'interno dei padiglioni.

La Polizia non ha ancora il pieno controllo».

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