RomaE adesso che l'Isis si sta pappando la Libia, dall'altra parte di quello stagno che è il Mediterraneo. E adesso che i jihadisti si prendono il gusto di spaventarci immaginandosi già sulla Pontina («siamo a Sud di Roma»). E adesso che gli analisti constatano lugubri che non siamo mai stati così esposti. E adesso dobbiamo anche di questo ringraziare il capo di Stato emerito Giorgio Napolitano, uno che l'agiografia pigra ha già iscritto all'esclusivo club dei padri della Patria, mentre i fatti dicono che è stato il suggeritore, quando non addirittura il regista, di alcuni degli esiti più disastrosi dell'Italia che siamo.
C'è un annus horribilis segnato col circoletto nero nell'agenda della storia recente: il 2011. In pochi mesi Napolitano obliterò la partecipazione italiana all'intervento militare Onu in Libia per destituire Gheddafi, sceneggiò le dimissioni del premier Silvio Berlusconi e la successiva salita a Palazzo Chigi di Mario Monti, con susseguente delega in bianco alla Troika, e iniziò un valzer di presidenti del consiglio senza legittimazione elettorale. I tre capi di accusa che costituiscono una base per un processo alla grandezza effettiva di King George.
Partiamo dalla Libia, emergenza di oggi. Da destra e perfino da sinistra si odono oggi geremiadi per il «beduino» Gheddafi, il dittatore libico disprezzato in vita e rimpianto da morto. Con lui la Libia era poco democratica ma stabile e prospera, mentre ora è quello che è: uno scatolone di sabbia tribale e sanguinario. E dietro la deposizione di Gheddafi, nel 2011, ci fu anche Giorgio Napolitano. Fu lui, di fronte alle esitazioni del premier Silvio Berlusconi, a prendere in mano la situazione e a decidere l'adesione italiana alla risoluzione Onu 1973 che, autorizzando una no-fly zone in Libia per proteggere i civili, di fatto costituì il codice di accesso all'intervento militare internazionale nel Paese africano. «Non possiamo lasciare calpestare il risorgimento arabo», le belle parole con cui Napolitano ammantò la partecipazione italiana alla campagna militare che avrebbe portato nel giro di pochi mesi all'esecuzione di Muhammar Gheddafi e del «gheddafismo». L'Italia mise a disposizione sei basi aeree (tra cui Sigonella e Gioia del Colle) e poi uomini, cacciabombardieri, navi della marina Militare. E chissà quanto nella scelta pesò lo stigma che gravava su Gheddafi per la sua amicizia col Cavaliere e per le baracconate poco radical chic di alcune visite romane.
Ora la storia presenta il suo conto. Della drammatica questione libica - che ci pressa anche per il presumibile incremento di arrivi di migranti - e delle altre faccende in cui Napolitano fece ben di più di quanto la Costituzione gli richiedeva. Più volte esaminato dai retroscenisti il grigio passaggio di consegne avvenuto a novembre 2011: Napolitano chiese e ottenne le dimissioni del premier Berlusconi, accusato di non aver più una maggioranza per alcuni passaggi a vuoto parlamentari, così annuendo agli input della Troika (Bce, Bruxelles, Fmi) per mettere a Palazzo Chigi uno spingitore di bottoni secondo gli spartiti dei custodi del rigore. E chi, se non Mario Monti?
Monti che la storia ha archiviato nel file dei vari-ed-eventuali, ma che fu il primo dei tre premier a legittimazione ridotta «creati» da Napolitano. Seguirono Enrico Letta, con cui Napolitano appena rieletto uscì dall'impasse dell'elezione senza vincitori del febbraio 2013, e Matteo Renzi, che l'unico vero consenso popolare lo ha ottenuto alle Europee del 2014. Altrove questa la chiamerebbero sospensione della democrazia. Altrove.
Il passaggio dal governo Berlusconi al governo Monti, con un commissariamento de facto della troika sull'Italia, a molti addetti ai lavori e a molti osservatori anche internazionali è apparso subito molto opaco. In quella fase il ruolo di Napolitano è stato determinante
Con il governo Renzi, entrato in carica
poco meno di un anno fa, l'Italia conta il terzo premier consecutivo non eletto. Nel novembre del 2011 Napolitano sostituì Berlusconi con Monti, dopo il voto del 2013 nominò Letta, che poi fu sostituito dallo stesso Renzi- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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