Mosca. Uno deve sopravvivere. L'altro deve vincere. E, soprattutto, farlo in fretta. Alla grande battaglia per Kiev circondata dalle unità russe, ma ancora difesa dalle forze ucraine si sovrappone, da ieri, quella a distanza tra i due presidenti. Da una parte l'assediato Volodymyr Zelensky alla disperata ricerca di una via negoziale capace di garantirgli una sopravvivenza non solo politica, ma addirittura fisica. Dall'altra un Vladimir Putin preoccupato dal rischio di una vittoria meno immediata e meno facile del previsto. Una vittoria che rischia di venir inquinata dai tempi dilatati dell'assedio a Kiev, dalle immagini dei caduti di entrambe le parti e dalle incognite di una macchina da guerra russa meno efficace e puntuale del previsto. Per tutti questi molteplici e contrastanti fattori sia l'assediato, sia il conquistatore tengono comunque viva l'ipotesi di una trattativa. Il problema è la distanza che separa il concetto di «neutralità», invocato come base negoziale da Zelensky, e il modo in cui lo stesso concetto viene interpretato dal Cremlino. «Mi appello ancora una volta al presidente della Federazione Russa chiedendogli di sederci attorno ad un tavolo per fermare la morte delle persone», implora il presidente assediato facendo intendere di esser disposto ad accettare quella moratoria sull'entrata dell'Ucraina nell'Alleanza Atlantica ripetutamente rifiutata nei mesi precedenti. Da Mosca arrivano invece risposte sferzanti, ma anche contraddittorie. Per il ministro degli esteri Sergei Lavrov il negoziato - possibile «solo se l'Ucraina depone le armi» - non basterebbe comunque a fermare l'azione militare. Come dire arrendetevi e discuteremo quel che sarà di voi. Più disponibile appare il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Oltre a riconoscere a Zelensky lo «status di presidente» il portavoce propone l'apertura di un negoziato a Minsk, capitale bielorussa, al quale parteciperebbero, per parte russa, il ministro della Difesa e degli Esteri oltre a una delegazione presidenziale. Un negoziato «a casa» degli alleati di Mosca che spinge subito Zelensky a proporre l'alternativa di Varsavia. Ma a ribaltare tutto ci pensa Putin che si rivolge alle forze armate dell'Ucraina invitandole a spazzare via il presidente Zelensky e la «banda di drogati e neonazisti» al governo di Kiev. «Esorto l'esercito ucraino a non permettere che civili e individui vengano usati come scudi umani», dichiara il presidente russo sottolineando che «sarebbe più semplice trattare» con i militari. In quell'apparente ambiguità si articola il doppio o triplo gioco del Cremlino. Dietro l'atteggiamento inflessibile del presidente russo si nasconde non solo la necessità di dimostrarsi più forte, ma anche la speranza di trovare un Badoglio capace di facilitargli il lavoro e consegnarli la resa incondizionata rifiutata fin qui da Zelensky. La via abbozzata dal portavoce Peskov gli tiene aperta invece l'alternativa del negoziato nel caso la presa di Kiev si dimostrasse più ardua e sanguinosa del previsto. E chiaro però che la «neutralità e la denazificazione» pretese da Mosca appaiono assai più dolorose e severe della semplice rinuncia alla Nato messa sul tavolo da Zelensky. Che ipotizza un'intesa capace di trasformarlo nel garante di quell'impegno mentre il Cremlino pensa a una resa incondizionata seguita dalla nomina di un nuovo governo scelto tra le fila dei circoli filorussi. Anche per questo Zelensky in serata cambia tattica. Consapevole che ogni a trattativa si chiuderebbe comunque con la sua rimozione rispolvera le doti di attore e si presenta nelle vesti di strenuo difensore della patria e dell'indipendenza ucraina.
Un video lo riprende in mimetica aggirarsi - con tre suoi ministri - per le strade deserte della capitale impegnandosi a difenderla fino all'ultimo. «Siamo qui a proteggere l'indipendenza del paese», promette. Ma i carri russi bussano alle porte e la domanda di tutti è: «Per quanti giorni ancora?».
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