A utunno, tempo di pagelle. Non parliamo naturalmente degli studenti ma degli chef, che in questa stagione di varie cupezze si vedono consegnare i voti dai curatori e dai recensori delle varie guide di settore. La guida dell'Espresso è stata presentata il 14 ottobre a Firenze, quella del Gambero Rosso vivrà il suo showdown il 28 a Roma mentre nell'ambiente sono tutti in fibrillazione per la Guida Michelin, quella che stabilisce davvero le gerarchie, che sarà presentata a Piacenza il 6 novembre nel solito clima da «spy story». E poi ci sono le altre, quelle specializzate (pizzerie, trattorie), quelle regionali o cittadine, quelle alternative, tutte o quasi presentate nel giro di poche uggiose settimane.
Chi compila queste noterelle è da anni anche un redattore di diverse guide. Conosce molti dietro le quinte di come nascono e vengono realizzati questi prodotti (molte cose le abbiamo raccontate tre anni fa nel libriccino Cessate il cuoco che ci valse più di un sorriso stiracchiato come ricompensa). Continua a farle e non certo per vantaggio economico, visto che scrivere per una guida gastronomica è una strada tra le più sicure per il default economico personale, ma perché crede nel ruolo di questi volumi spesso di dimensioni proustiane. Ma crede anche che necessitino di qualche istruzioni per l'uso. Eccole.
Chi le scrive? Le guide sono compilate da giornalisti, gastronomi, ex ristoratori, appassionati. Spesso sono persone competenti, dotati non solo della capacità di valutare la qualità della materia prima e dell'impiattamento, ma anche di attenersi a una rigida griglia valutativa fatta di standard maturati con una lunga esperienza sul campo. Talvolta sono persone che scrivono bene e possono compensare con la capacità di racconto a qualche carenza tecnica. Altre volte sono giovani gourmet entusiasti con una certa qual propensione alla pedanteria. Ma comunque sono persone che se lo possono permettere. Perché ogni scheda è spesso pagata meno del conto del ristorante e in più richiede anche un lavoro di scrittura e di verifiche dei dati (indirizzo, telefono, mail, giorni e orario di apertura, menu, prezzi).
Occhio ai secchioni Diffidate delle schede troppo tecniche, di chi sciorina troppi piatti (che poi nel tempo intercorso tra la visita e l'uscita della guida sono scomparsi dalla carta), di chi fa troppi paragoni dotti, di chi evoca il ricordo dello stesso piatto preparato da uno chef boliviano nel 1987. La cucina è emozione, non erudizione.
La trappola del punteggio Il punteggio, la prima e l'unica cosa che si guarda in una scheda di un ristorante. È un male necessario, perché serve a orientare sinteticamente e soprattutto a costruire le famose classifiche che riempiono i giornali. Ma sui voti pesa l'impossibilità di quantificare un'emozione, la difficoltà a creare standard uniformi di giudizio considerato che è buona norma soprattutto nelle grandi città mandare ogni anno recensori differenti nello stesso locale e una certa prudenza da parte dei curatori a bruschi cambiamenti di punteggio da un anno all'altro. Nell'alta gastronomia l'ascensore sociale funziona decisamente a rilento.
I feudi di provincia Altro rischio delle guide è che, soprattutto nelle province più remote la scarsità di recensori faccia nascere dei piccoli feudi. Un recensore valuterà lo stesso ristorante di anno in anno e questo non solo appiattirà il giudizio, ma farà anche nascere una specie di amicizia tra chef e giornalista, ciò che non è mai una buona idea. Aggiungiamo anche il fatto che alla fine i più eminenti critici gastronomici sono volti noti nell'ambiente e capirete perché quella dell'anonimato del recensore e del giudizio totalmente neutrale sono due utopie.
Mode e miti L'ultima insidia è quella di cadere vittima delle mode gastronomiche di giornata. Esistono chef che vivono veri stati di grazia mediatici. Qualche anno fa fu Massimo Bottura, poi Norbert Niederkofler, e ora nessuno può dir male di Riccardo Camanini e Mauro Uliassi. Si tratta di geni, intendiamoci, ma nei confronti dei quali si perde ogni possibile ragion critica. E questo si riflette pesantemente sulle guide, che diventano come pittori che dipingono lo stesso quadro solo con piccole pennellate differenti.
Ma quindi, detto tutto questo, vale la pena credere ancora alle guide, credere ancora nelle guide? Alla fine diremmo di sì, perché non è ancora stato inventato uno strumento migliore (il dio dei gourmet
ci scampi da Recensione Democratica, la deriva Tripadvisor), perché alla fine chi le compila ne sa più del cliente medio, perché ogni arte ha bisogno di una critica libera e militante. Avanti popolo, la tavola è imbandita.
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