Gli hacker russi all'attacco «Atleti Usa positivi ai Giochi»

Secondo le carte pubblicate Biles e le Williams ebbero l'autorizzazione a curarsi assumendo farmaci vietati

Dopo il caso «email-gate» che mise in imbarazzo Hillary Clinton gli hacker del gruppo Fancy Bear hanno colpito un altro obiettivo statunitense, e per la precisione lo sport olimpico a stelle e strisce. Secondo alcuni documenti trafugati dall'area Confidential della Wada, ossia l'agenzia antidoping mondiale, alcuni atleti di punta della spedizione americana a Rio de Janeiro avrebbero infatti gareggiato sotto l'effetto di sostanze vietate, il cui utilizzo sarebbe stato consentito da certificati di approvazione per uso terapeutico. Tradotto: hanno abusato di farmaci ma la loro positività non è mai stata resa nota perché - in presenza di malattie in corso che non si possono curare con farmaci non inseriti nella black list della Wada - la federazione internazionale (dopo aver svolto accurate verifiche) rilascia un permesso chiamato «Tue», che sta appunto per «therapy use exemption».

I nomi sono famosissimi: si va dalla ginnasta Simone Biles, vincitrice di ben quattro medaglie d'oro, alle tenniste Serena e Venus Williams e a Elena Delle Donne, star della nazionale di basket. L'accusa degli hacker è durissima: «Hanno avuto l'autorizzazione a doparsi, questa è un'altra prova della corruzione della Wada e del Dipartimento medico scientifico del Cio». E oltretutto minacciano di non finirla qui: «Questa è solo la punta dell'iceberg, l'Operation Olympics andrà avanti. Aspettatevi prove sensazionali su altri atleti famosi dopati, anche di altre nazionali».

Al di là del clamore immediato, però, è bene valutare caso per caso. Prediamo quello delle sorelle Williams, che avrebbero assunto rispettivamente prednisone (Serena) e triamcinolone (Venus). Quest'ultima è notoriamente affetta dalla sindrome di Sjogren, una malattia infiammatoria cronica di natura autoimmune che dal 2011 ha condizionato pesantemente la sua carriera e che necessita di un trattamento farmacologico costante. E poi saltano anche all'occhio i periodi in cui, secondo i documenti pubblicati, le due tenniste avrebbero chiesto e ottenuto i loro «Tue»: Venus tra la fine del 2011 e il 31 gennaio 2012, Serena dal 21 al 30 marzo 2014. Date che quindi non c'entrano proprio nulla con le Olimpiadi di Rio.

Decisamente più delicata la questione relativa a Simone Biles, che proprio durante gli ultimi Giochi avrebbe assunto metilfenidato, uno psicostimolante, e anfetamine. Sempre sotto ricetta medica. Quando Simone si è sottoposta ai controlli antidoping ha presentato le autorizzazioni evitando così di incappare in squalifiche, ma resta da capire perché la federazione internazionale della ginnastica abbia permesso l'utilizzo di questi farmaci. In quattro anni, infatti, la Biles non aveva mai fatto cenno a particolari problematiche fisiche.

Preso atto della replica dell'Usada (vale a dire l'agenzia antidoping americana) - che ha definito «spregevole e vigliacca» l'operazione di Fancy Bears, spiegando che le atlete «non hanno fatto nulla di sbagliato e hanno sempre seguito le regole» - e della Wada («Condanniamo gli attacchi informatici portati da hacker russi per minare l'agenzia e il sistema antidoping») si possono fare un paio di riflessioni generali. La prima riguarda la gravità della violazione della privacy: i dati sulle atlete americane provengono infatti dalle schede «Adams», ossia il sistema con cui la Wada tiene sotto controllo gli spostamenti e verifica l'esito dei test antidoping su migliaia e migliaia di professionisti di tutte le discipline; una montagna di dati sensibili che non sembrano protetti a dovere.

La seconda riguarda invece l'abuso di farmaci nello sport, una prassi che viaggia sul confine delle regole e che, a detta di tanti medici, è ormai consolidata. Se gli hacker dovessero dar seguito alla minaccia di diffondere altri dati si potrebbe, per la prima volta, avere una visione chiara su un fenomeno che non ha ancora contorni precisi.

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