
"La regione rischia di infiammarsi, i proxy di Teheran potrebbero essere chiamati a intervenire, e non è da escludere che le basi americane nell'area vengano colpite. Ora, però, si tratta solo con Donald Trump". A sostenerlo è Nima Baheli, analista geopolitico specializzato in Iran, che collabora con Limes e Ispi.
Che cosa è successo domenica notte?
"Gli Usa potrebbero aver distrutto l'impianto nucleare iraniano di Fordow. Hanno utilizzato almeno sei bombe bunker-buster sganciate da bombardieri B-2. Mentre gli altri due siti nucleari - Natanz e Isfahan - sono stati colpiti da 20 missili Tomahawk lanciati da sottomarini statunitensi. Non è ancora chiaro, però, se Fordow sia stato disintegrato effettivamente e, comunque, le ragioni della fazione oltranzista interna al regime adesso hanno guadagnato punti".
Che cosa farà ora Teheran?
"Ci saranno ritorsioni su Israele, già peraltro avvenute, come hanno dimostrato i lanci missilistici nella mattinata di ieri. Poi il regime potrebbe decidere la chiusura dello stretto di Hormuz e di Bab al-Mandeb, con conseguenze economiche sul rifornimento e il prezzo energetico. E infine non è da escludere l'attacco agli asset americani nella regione. Finora le fazioni oltranziste dei Pasdaran e i proxy, Hezbollah in Libano, le milizie irachene e gli Houthi yemeniti, erano stati frenati dalla volontà di non far entrare Washington nel conflitto, ormai non hanno più nulla da perdere".
Ali Khamenei è all'angolo?
"Ha già messo in conto di potere essere ucciso e ha nominato tre eredi fra cui l'assemblea degli esperti dovrà scegliere la prossima Guida".
Qual è stato il ruolo dell'America?
"Donald Trump all'inizio aveva dato due settimane di tempo per negoziare, al contempo l'attacco israeliano è nato a ridosso degli incontri irano-statunitensi in Oman. È ormai molto probabile che l'intervento fosse stato concordato tra Washington e Stato ebraico".
Quale invece è la parte avuta dalla Russia?
"Mosca potrebbe essere importante per creare una mediazione, oggi il ministro degli esteri iraniano è da Putin. È anche evidente però che Pechino e il Cremlino non hanno giocato un ruolo effettivo nella guerra. Mentre gli Occidentali hanno dato un supporto netto a Israele. Questo ha portato a un ulteriore isolamento della Repubblica islamica che ha facilitato l'attacco. Ora sono gli Stati Uniti ad avere una parte cruciale, non gli europei. Qualsiasi mediazione dovrà avvenire con Trump".
E l'obiettivo strategico di Israele?
"All'inizio far saltare i negoziati, è stato secondario invece innescare un 'regime change'. Il principale scopo adesso però è l'annichilimento dell'avversario e una Repubblica islamica fortemente ridimensionata che non è più in grado di danneggiare lo Stato ebraico".
Mentre il fine militare dell'Iran?
"Inizialmente Khamenei voleva dimostrare alla sua base una capacità di deterrenza nei confronti di Israele, che la Repubblica islamica non fosse così fragile. Anche perché una debolezza manifesta poteva portare a un crollo del regime.
Ora però tutto è stato rimesso in gioco con l'intervento degli Stati Uniti. Teheran deve tenere in conto il loro strapotere militare. Bisognerà aspettare il tenore della reazione americana a una futura risposta dell'Iran".