Politica

Hillary ricompare «a lutto»: «Non volevo più uscire di casa»

L'establishment repubblicano si oppone a Giuliani alla segreteria di Stato: al suo posto forse una donna

Valeria Robecco

New York È il fantasma della donna agguerrita e potente lanciata verso la Casa Bianca la Hillary Clinton apparsa per la prima volta in pubblico dopo la disfatta dell'8 novembre. Volto provato, occhiaie pronunciate, capigliatura quasi trascurata, la ex first lady ha deciso di mettersi a nudo, raccontando senza filtri il dolore provato per la sconfitta alle presidenziali durante il gala annuale del Children's Defense Fund. «Devo ammettere che venire qui non è stata la cosa più facile per me», ha detto Hillary, confessando che «ci sono state un paio di volte la scorsa settimana in cui tutto quello che volevo fare era leggere un buon libro, stare con i nostri cani e non uscire più di casa». «So che molti di voi sono profondamente delusi dai risultati delle elezioni. Lo sono anche io, più di quanto potrò mai esprimere», ha aggiunto. Quindi ha fatto appello al suo piglio battagliero, esortando i sostenitori a continuare l'impegno politico: «Nell'ultima settimana tanti si sono chiesti se l'America è il Paese che pensavamo che fosse - ha spiegato -. Le divisioni svelate da questa elezione sono profonde, ma per favore ascoltatemi quando dico che bisogna credere nel nostro Paese, battersi per i nostri valori e non arrendersi mai. Se lo merita l'America, e se lo meritano i nostri figli».

Per la sua prima apparizione pubblica la Clinton non ha scelto un luogo a caso: il Children's Defense Fund di Washington, infatti, è dove ha svolto il primo lavoro dopo essere uscita dalla scuola di legge di Yale. La sua leader Marian Wright Edelman, colei che assunse una giovane Hillary Rodham, ha presentato l'ex first lady come il «presidente del popolo», in riferimento al fatto che pur avendo perso il voto del collegio elettorale ha vinto quello popolare grazie a Stati popolosi come New York e California. Il presidente eletto, però, resta Donald Trump, che ieri ha incontrato il primo leader di un Paese straniero, il premier giapponese Shinzo Abe. Nel bilaterale a New York, Abe ha sottolineato l'importanza che Tokyo attribuisce all'alleanza con gli Stati Uniti per garantire pace e stabilità alla regione Asia Pacifico, in una fase in cui cresce la minaccia nucleare dalla Nord Corea e si fa sempre più ingombrante la presenza della Cina.

Intanto proseguono le discussioni ai piani alti della Trump Tower sulla squadra di governo: mentre sembra quasi certa la scelta del generale Michael Flynn come consigliere per la sicurezza nazionale, si complica la volata di Rudy Giuliani alla segreteria di Stato. L'ex sindaco di New York è sostenuto dai collaboratori più vicini al re del mattone, ma non gradito all'establishment repubblicano. E per questo stanno salendo le quotazioni della governatrice della South Carolina Nikki Haley come capo della diplomazia americana. Considerata l'astro nascente del Grand Old Party, Haley è figlia di immigrati indiani, e la sua eventuale nomina sarebbe significativa sia sul piano etnico che su quello di genere.

Nel frattempo, dall'Europa, il presidente uscente Barack Obama è tornato sui rapporti tra The Donald e il Cremlino: «Spero manterrà un approccio costruttivo, ma senza cedere quando Mosca devia dai valori e dalle norme internazionali», ha spiegato durante una conferenza stampa con la cancelliera Angela Merkel a Berlino. «Non mi aspetto che segua esattamente il nostro approccio», ha precisato, ma mi auguro che «non si limiti a fare affari con la Russia» che possano creare problemi a lungo termine.

Il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, invece, ha chiarito che le possibili date di una visita a Mosca di Trump non sono ancora state discusse, e tutte le «speculazioni» a questo proposito sono «notizie infondate».

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