«Ho giurato sulla Carta non sul Vangelo» Renzi scarica i cattolici

Il premier sfida la Chiesa sulle coppie gay. E bacchetta la sinistra sul garantismo: non ripetiamo coi grillini gli errori fatti con Berlusconi

Tirando il freno al suo partito, che gioisce per la gragnuola di inchieste sui grillini, Matteo Renzi imbraccia con decisione il garantismo e chiama il Pd a fare autocritica: «Smettiamo di usare gli avvisi di garanzia come strumenti di lotta politica», dice. E ammette, con riferimento a Berlusconi: «Per anni sono stati strumentalizzati, anche dal centrosinistra, che ha sbagliato a farlo».

Il premier, ospite di Porta a porta, si è sottoposto ieri alle domande antipatizzanti dell'ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli. Spaziando su tutti i temi dell'agenda di governo, celebrando la recentissima clamorosa vittoria sulle unioni civili, un «passo avanti storico» promosso proprio da un premier cattolico: «Ma io ho votato sulla Costituzione, non sul Vangelo», sottolinea. Ma Renzi si concentra soprattutto sul futuro referendum confermativo della riforma che abolisce il bicameralismo perfetto e riduce drasticamente numeri e poteri del Senato. Nessuna «personalizzazione del referendum», assicura: «Io voglio un voto sul merito». Se poi la riforma sarà bocciata, «mi dimetto il giorno dopo, e deciderà il presidente che fare. Di certo io smetto il giorno dopo».

Il match Renzi-De Bortoli è solo il primo dei confronti cui il premier si vuol sottoporre in tv, di qui al D-Day del referendum che segnerà il destino delle riforme e suo. Confronti con i suoi critici più sfegatati (l'ex direttore del Corriere ha usato contro di lui toni e argomenti simili a quelli di Grillo o Salvini, definendolo addirittura «caudillo», come il premier gli ha ironicamente ricordato), proprio perché Renzi non vuol parlare ai tanti già convinti, ma trascinare dalla sua la parte più riottosa e diffidente degli elettori. Andare a parlare in partibus infidelium, dunque, nella certezza che la «sua» riforma della Carta, una volta conosciuta, sia destinate a fare breccia. Del resto, spiega, le parole d'ordine pro-riforma sono forti: «Chi vuole votare contro di me lo faccia alle elezioni: con il referendum invece ha la possibilità di mandare a casa 315 stipendi di parlamentari».

«Pedagogia referendaria», la definiscono nel Pd: un compito cui il premier dedicherà nei prossimi mesi una grande parte delle proprie energie. E intanto incassa primi appoggi importanti: ieri la rivista Civiltà cattolica, voce assai influente nel mondo della Chiesa, si è decisamente schierata a favore del sì, definendo «auspicabile il successo del referendum» renziano. Una presa di posizione tanto più significativa all'indomani del varo delle unioni civili.

La marcia ufficiale della campagna referendaria inizierà il 21 maggio prossimo a Bergamo, con l'inaugurazione del primo comitato per il sì. Si cerca un nome di prestigio per capeggiarli: da Sabino Cassese a Luigi Berlinguer, quest'ultimo particolarmente evocativo per l'ala sinistra del Pd. Cui Renzi, martedì prossimo, chiederà di venire allo scoperto nell'assemblea dei parlamentari da lui convocata.

Ponendo gli ambigui frondisti della minoranza Pd davanti ad una scelta definitiva: o ci si impegna attivamente nella campagna per il sì, che vedrà mobilitato l'intero Pd di qui all'autunno, oppure si abbia il coraggio di mettere a verbale il proprio dissenso. Mettendosi così tecnicamente contro il proprio partito e - quel che è più temibile - fuori dalle future liste elettorali. Facile prevedere che gli eroi non abbonderanno.

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