Coronavirus

"Ho svelato il segreto cinese. Ma quanti silenzi in Italia"

Il direttore di TgCom24: "La notizia del virus nato in laboratorio a Wuhan arrivata da fonti di intelligence"

"Ho svelato il segreto cinese. Ma quanti silenzi in Italia"

Quasi tre mesi fa era il 25 gennaio il direttore di TgCom24 Paolo Liguori aveva dato un'indiscrezione clamorosa: il virus dell'epidemia che stava cominciando a dilagare in Cina poteva avere avuto origine da un laboratorio di ricerca militare situato proprio nella città di Wuhan, l'epicentro di un'emergenza sanitaria che nel giro di poche settimane è tracimata in tutto il mondo, trascinando anche il nostro Paese in una crisi drammatica. Questa ipotesi, basata su fonti d'intelligence internazionali, in Italia è stata bollata di complottismo, con uso di toni talora sprezzanti da parte di ambienti sia scientifici, sia politici, sia mediatici. Ora però, dopo la pubblicazione sul Washington Post con la sua patente di nobiltà giornalistica assicurata dal blasone del caso Watergate di un'analisi del columnist Josh Rogin che rilancia i sospetti sul ruolo di un paio di laboratori di Wuhan (definiti altamente insicuri) nella possibile fuga all'esterno di coronavirus su cui venivano condotti esperimenti, l'argomento non solo è tornato di attualità, ma ottiene maggiore rispetto.

Paolo Liguori, adesso leggiamo sul «Corriere della Sera» che a parlare di fuga del virus da un laboratorio cinese non sono più solo i complottisti.

«C'è molto provincialismo in Italia su certi temi, evidentemente c'era bisogno che ne parlasse il Washington Post. Eppure anche loro certe informazioni le ottengono da fonti di intelligence, come abbiamo fatto noi. Per non parlare di altri provincialismi più bassi ancora, tipo quello secondo cui certe indiscrezioni possono essere vere solo se escono su Dagospia (ride). Ma lasciamo perdere. Seriamente parlando, un tema preoccupante è quello dei silenzi su questa vicenda, silenzi frutto di una enorme corruzione entrata nel costume del nostro Paese».

A cosa ti riferisci?

«Intendo dire che non si può stare contemporaneamente con l'Occidente e con la Cina, con il mondo libero e con quello di un aggressivo capitalismo di Stato. Faccio un esempio: dobbiamo evitare che in campo cibernetico dipendiamo dai cinesi, preferisco che i miei dati finiscano a Washington che a Pechino. Meglio morire americani che cinesi! In Italia sul tema delle responsabilità per la diffusione del Covid-19 c'è invece un silenzio agghiacciante, un tentativo impossibile di tenere i piedi in due scarpe. Dobbiamo renderci conto che il dopo-Covid sarà molto caldo, che la geopolitica sarà ridisegnata: e da che parte starà l'Italia? Tra i giornali, sono in pochi a non aver paura di esporsi e uno di questi, La Stampa, non a caso ha avuto un suo giornalista minacciato di morte».

Oltre ai silenzi dobbiamo registrare tante smentite alle «teorie complottiste». Cosa ne pensi?

«Abbiamo assistito a smentite immediate, assolute da parte di tanti virologi che non hanno portato prove. Ma osservo che abbiamo anche virologi italiani che firmano consulenze con i cinesi, e altri che in Italia hanno avuto cause legali e si sono rifugiati negli Stati Uniti, da dove pontificano. Dobbiamo ricordarci che a livello mondiale è un ambiente in cui la corruzione è diffusa, ci sono stati arresti eccellenti come quello del direttore del laboratorio di virologia dell'Università di Harvard, che trafficava con i cinesi. È un giro internazionale che il premio Nobel Luc Montagnier, che oggi afferma che il coronavirus è stato manipolato per un vaccino anti-Aids, conosce bene».

Che idea ti sei fatto della gestione cinese della vicenda?

«A Pechino dimostrano un terribile cinismo di Stato. Una volta scoppiato il caso, la loro intelligence avrebbe valutato che la Cina poteva trarne grandi vantaggi su un Occidente che si sarebbe ripreso più lentamente. Il loro sistema e i loro numeri gli permettono di infischiarsi delle perdite umane, mentre da noi un lungo lockdown porta danni irreversibili. Dobbiamo stare attenti alla Cina, loro vogliono metter piede da padroni nel Mediterraneo, e puntano ai nostri porti di Genova, Livorno, Bari e Venezia, che andrebbero protetti con la golden share».

Tornando a te, ti hanno ferito le critiche?

(Ride ancora) «Liguori è diventato un pazzo perché ha toccato un tema molto delicato.

Ho subito un po' di isolamento, ma solo qualche soggetto minore mi ha attaccato, qualche «personaggetto».

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