Gli agguati. Le astuzie. I tradimenti. E gli incidenti, come quello di ieri mattina che ha fatto saltare l'accordo sulla legge elettorale. «Mai visto nulla di simile - spiega Gianfranco Rotondi, deputato di lungo corso, forzista di formazione dc - non era mai successo che il tabellone svelasse i nomi che dovevano rimanere segreti».
A quel punto?
«Qualcuno, come se l'aspettasse e si fosse preparato, ha fatto in tempo a fotografare con il telefonino quelle lucine rosse e verdi e quelle immagini - il verde compatto dei grillini a favore dell'emendamento Biancofiore - hanno influenzato chi doveva ancora schiacciare il bottone».
Quindi, secondo lei c'era una regia?
«Contano gli indizi. I renziani potrebbero aver affossato la legge per accelerare la corsa alle urne. Io rivedo all'azione il partito dei 101».
I franchi tiratori che impallinarono Prodi?
«Certo, i renziani hanno sempre mal sopportato Prodi. Guardi quel che succede in questi giorni: Renzi è in difficoltà e Prodi ovunque. Il voto segreto in quell'occasione favori le manovre di chi non voleva Prodi al Quirinale».
Anche Marini fu silurato e alla fine fu rieletto Napolitano.
«Ma con Marini non ci fu un agguato. Fu Bersani, per eccesso di baldanza, a sbagliare strategia».
In che modo?
«Avrebbe dovuto proteggere l'aspirante presidente, calando l'asso della sua candidatura alla quarta votazione quando il quorum scende. Invece Marini fu sciaguratamente gettato nella mischia subito, senza prima lanciare come apripista un candidato di bandiera, e fu massacrato».
Gli agguati riescono meglio con il voto segreto?
«Non è detto. Il primo governo Prodi, nel '98, franò sul tradimento di Silvio Liotta».
Sulla carta un esponente della maggioranza.
«Certo, Prodi stava in piedi per un pugno di voti e si sapeva che Liotta era tentato.
Lo marcarono stretto?
«Lo marcarono fino a pochi minuti prima del momento decisivo. La sua abilità, come quella di tutti i congiurati, fu quella di dissimulare quel che aveva in animo».
Assicurò fedeltà al leader dell'Ulivo?
«Sì e in questo modo riuscì ad allentare il pressing. Poi pronunciò un bel no e mandò all'aria Prodi».
Prodi è sempre stato al centro di intrighi.
«Le sue maggioranze erano risicatissime, deboli, vulnerabili. È chiaro che in un contesto del genere le imboscate sono all'ordine del giorno. Pensi che i senatori fedeli al secondo esecutivo Prodi, fra il 2006 e il 2008, avevano l'ordine di non andare a fare la pipì»
Addirittura?
«La maggioranza aveva solo un voto in più rispetto alle opposizioni e dunque quando a Palazzo Madama cominciavano lunghe sessioni di voto, i parlamentari dovevano stringere i denti. Per quelli più anziani era davvero dura».
Ma lo stoicismo non bastava a frenare i complotti.
«Il gruppo dell'Udeur di Mastella tramava e il voto di fiducia era sempre il momento in cui il governo ballava. Dunque Mastella aveva fatto i suoi conti e aveva puntato sulla defezione di Nuccio Cusumano che avrebbe mandato sotto Prodi».
Invece?
«Cusumano cambiò idea e salvò, almeno in quel frangente, il premier».
Risultato?
«Fu schiaffeggiato da un collega che gli gridò: traditore».
Lui?
«Replicò con una frase da grande romanzo: Io tradisco un tradimento».
La Prima repubblica era diversa?
«Non creda. Le tecniche di sabotaggio erano più sottili, ma i governi cadevano tutti gli anni o quasi. E nascevano fra ripicche, vendette e umiliazioni».
Umiliazioni?
«Donat Cattin, non contento del ministero che gli avevano assegnato non si fece trovare al giuramento. E a chi lo cercava rispose secco: Sono impegnato dal barbiere».
Imperturbabile. Ma in Parlamento si sono versate anche tante lacrime.
«Storiche quelle di Maria Pia Garavaglia che arrivò al banco con una frazione di secondo di ritardo».
Non riuscì a votare?
«Il presidente, non si sa se dolosamente, la bruciò sul tempo chiudendo la votazione. Il governo Cossiga cadde e lei scoppiò in un pianto dirotto».
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