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"I baroni esercitano il potere nei concorsi"

Contratti rinnovati in base ai risultati» L'ex rettore dell'Università di Urbino: «Gli arresti dei docenti una pagina buia per il Paese. I professori? Sono assillati dall'autoreferenzalità»

"I baroni esercitano il potere nei concorsi"

Stefano Pivato, storico e saggista, già rettore dell'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo», è amareggiato da quanto sta accadendo nel mondo universitario. Nepotismo e corruzione ben saldi in cattedra. Realtà che il professor Pivato denuncia da anni: in maniera seria, ma anche senza rinunciare al sarcasmo come dimostra il successo del suo pamphlet Al limite della docenza (Donzelli Editore) che traccia la tragicomica «piccola antologia del professore universitario».

Il titolo del suo libro è «Al limite della docenza», ma voleva intendere «decenza».

«Infatti molti miei colleghi si comportano in maniera indecente».

Si riferisce a quelli inquisiti a Firenze e denunciati in mezza Italia?

«Per la prima volta dei docenti sono stati arrestati. È un giorno davvero buio per il mondo accademico».

Ma lei lo va ripetendo da anni che il sistema era marcio.

«Ma nessuno ha mai avuto la forza, o la voglia, per cambiarlo».

I professori finiti agli arresti domiciliari sono accusati di aver taroccato i concorsi per favorire i propri «protetti».

«Per rettori e professori i concorsi rappresentano un modo per esercitare il proprio potere».

Lei propone una soluzione radicale: abolire i concorsi.

«Certo. Un docente deve essere preso in prova in base alla validità del proprio curriculum. Poi, se dimostra di valere, gli si deve rinnovare il contratto. Altrimenti va a casa».

Invece cosa accade?

«Accade che in cattedra finiscono i raccomandati».

Com'è possibile che questo avvenga con tanta spudoratezza?

«Sono le stesse leggi che consentono a rettori e professori di comportarsi da monarchi assoluti».

Il ministro dell'istruzione, Valeria Fedeli, insieme con il presidente dell'Anticorruzione, Raffaele Cantone, hanno annunciato un codice deontologico «blocca raccomandazioni».

«Povero il Paese che impone l'onesta attraverso un codice deontologico. L'onestà dovrebbe essere patrimonio comune e soprattutto di chi ha il ruolo di educare la classe dirigente del futuro».

Lei i «baroni» si diverte a prenderli in giro.

«Sì. Di loro conosco bene tic e manie».

Ce ne racconti qualcuno.

«Ad esempio sono assillati dall'autoreferenzialità. Se un professore incontra un collega non gli chiede Come stai?, ma Come sto?».

I «baroni» pensano di essere l'ombelico del mondo?

«Vivono in funzione degli status symbol».

Che sarebbero?

«Avere la stanza più grande di quella del collega. La dimensione della camera è l'indice del livello di carriera».

Tipo la poltrona in pelle umana e l'acquario con gli impiegati nei film di Fantozzi.

«Proprio così. Anche se nel corpo docente di ironia ne circola ben poca».

Altre «fisime» accademiche?

«I baroni godono particolarmente nel pronunciare alcune frasi».

Un esempio?

«Hai visto quanti studenti hanno seguito la mia lezione? L'aula era zeppa».

Beh, non c'è nulla di male.

«Il problema è che lo dicono anche quando in aula ci sono solo quattro gatti».

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