Una road map per la pace va messa in cantiere se non vogliamo scivolare pericolosamente verso la terza guerra mondiale. Per la prima volta dall'inizio dell'invasione il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, ha parlato con il ministro russo Sergei Shoigu. Austin ha esortato «a un immediato cessate il fuoco in Ucraina e sottolineato l'importanza di mantenere linee di comunicazione» per evitare guai peggiori. Un segnale dopo la visita del presidente del Consiglio, Mario Draghi, a Washington che ha parlato di pace auspicando una chiamata diretta dalla Casa Bianca al presidente russo Vladimir Putin. Non basta e per ora si tratta di parole o poco più, ma qualsiasi spiraglio verso uno sbocco diverso dal ferro e dal fuoco va accolto con speranza.
Anche il colloquio telefonico di ieri con il Cremlino del cancelliere tedesco Olaf Scholz è una notizia positiva come la nuova missione in Ucraina del «ministro degli Esteri» della Santa sede, l'inglese Paul Richard Gallagher. Tutti tentativi lodevoli, ma ci vuole una road map per la pace, più necessaria che mai, per evitare una guerra lunga e sanguinosa. Non sono né un diplomatico, né un politico, ma ho 40 anni di guerre sulle spalle e due mesi sotto le bombe in Ucraina. Per questo mi permetto di lanciare delle idee, che possono pure venire cestinate o bollate come assurde, ma devono servire a far riflettere e a scalfire l'immobilismo. Se aiutiamo giustamente la resistenza ucraina inviando le armi, con ancora più forza dobbiamo sollecitare Kiev a imboccare la strada della pace.
Per questo bisogna cogliere qualsiasi segnale di disponibilità. Se il presidente Volodymyr Zelensky, anche a Porta a porta, dice che si può, per ora, accantonare (non riconoscere) l'annessione della Crimea, con l'obiettivo di riprendere una trattativa interrotta dalle bombe, bisogna aiutarlo a far seguire alle parole i fatti.
Se gli ucraini, come è ovvio, dicono di voler trattare, ma quando le truppe russe saranno tornate da dove sono partite, bisogna far capire che un approccio realistico potrebbe essere congelare la situazione sulle posizioni attuali. L'obiettivo è un cessate il fuoco, ma con una road map in cinque punti che affronti i nodi più ostici e dolorosi.
1. Il primo riguarda la sanguinosa ferita di Mariupol, che potrebbe venire dichiarata «città aperta» nel senso che gli eserciti in lotta lasciano «libera» la città in vista di una trattativa sul suo status futuro. La garanzia di sicurezza dovrebbe venire garantita da una polizia internazionale sotto egida Onu.
2. Un altro passo è realizzare un vero referendum a Kherson sotto la stretta supervisione di osservatori internazionali dell'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che formalmente annovera ancora fra i suoi membri pure la Federazione russa. Al voto devono partecipare tutti gli abitanti registrati prima dell'invasione del 24 febbraio e non solo quelli ancora nella città occupata dai russi.
3. Il nodo più complicato del Donbass dovrebbe venire sciolto prevedendo un intervento di caschi blu italiani che separi le forze in campo facendole arretrare a distanza di sicurezza. Oltre agli scarponi sul terreno possiamo offrire una base di dialogo sullo status del Donbass che si basa sul modello Alto Adige. Da noi ha funzionato mettendo a tacere le bombe ed era una proposta sul tavolo dopo l'esplosione del Donbass otto anni fa, ma poi si è preferito «dimenticare» il conflitto nel cuore dell'Europa.
4. Per una pace, o almeno una tregua, serve il congelamento delle posizioni. Per ottenere un cessate il fuoco.
5. Il quinto e più ostico punto della road map riguarda il calendario del ritiro delle forze russe dalle zone occupate collegato all'accettazione e sviluppo dei passi precedenti.
Forse questo articolo è soltanto un'illusione, ma giusta o sbagliata che sia questa
road map, l'importante è pensarci in questa oppure in altre formule. Altrimenti rischiamo di perdere per sempre l'unica vera vittoria dopo la seconda guerra mondiale: 77 anni di pace nell'Europa unita, fino al 24 febbraio.
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