A Matteo Renzi ballano i cerchioni. Gli attacchi contro di lui non si contano, provengono da ogni parte. Perché? Molti motivi sono noti, altri forse inconfessabili. Alcuni hanno un fondamento: il governo del Rottamatore si è dimenticato della spending review e ha addirittura licenziato il tagliatore, Carlo Cottarelli; i dati macroeconomici sono peggiorati rispetto a quelli registrati da qualsiasi governo precedente, e ci riferiamo al Pil calante e alla disoccupazione crescente, all'impennata del debito pubblico e alla disastrosa situazione dei consumi. Se poi aggiungiamo l'incontenibile inasprimento fiscale, il quadro negativo si completa.
Si è automaticamente portati a dire che Silvio Berlusconi, Mario Monti e perfino Enrico Letta abbiano fatto meglio del giovin signore fiorentino. Eppure le minacce alla sopravvivenza del premier a Palazzo Chigi non provengono dall'esame raggelante delle statistiche, a cui pochi badano. E nemmeno dalle riforme fasulle (discutibili, come minimo) introdotte da Renzi: quella delle Province, che non consente risparmi, visto che ci sono 20mila dipendenti da ricollocare e stipendiare anche se non fanno nulla, e quella del Senato che, invece di essere eliminato, è stato trasformato in un feudo delle Regioni, guarda caso rosse.
Al premier tutto è perdonato, tranne che di aver fatto fuori (al momento) la sinistra del Pd in cui militano personaggi di rilievo non rassegnati alla marginalità e terrorizzati, qualora si votasse anticipatamente, di essere esclusi dalla nomenklatura e dal Parlamento. Uomini quali Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani, Gianni Cuperlo, Pippo Civati eccetera non perdono occasione, spalleggiati da Susanna Camusso, reginetta della Cgil, per dare spallate al presidente del Consiglio. E non lo fanno tanto per divergenze politiche, quanto per liberarsi di lui e poter rientrare ai vertici del partito con i privilegi che ciò comporta. Inutile scandalizzarsi. Le regole della casta sono queste, piacciano o no.
Renzi subisce attacchi, oltre a quelli interni al Pd, anche dall'esterno, alimentati dalla presente congiuntura giudiziaria, il cui inizio tambureggiante coincide con la sua ascesa da sindaco di Firenze a segretario dei democratici e a capo del governo. Sarà una semplice coincidenza, ma da quando Matteo ha preso in mano il timone del Paese è stato accostato, quanto a stile, all'ex Cavaliere e pare che gli venga riservato lo stesso trattamento. I suoi critici gli rimproverano di essere soltanto un comunicatore capace di promettere la luna, ma di non riuscire a realizzare i buoni propositi in base ai quali ha raccolto numerosi consensi tra il popolo. In questi rilievi c'è del vero e solamente un cieco non lo vede.
Esiste altro e non è roba da sottovalutare. Ci riferiamo agli ultimi terremoti giudiziari. Che, per la prima volta, rivelano in forma clamorosa la nascita di una sorta di «larghe intese criminali», giacché la corruzione è trasversale: entrambi gli schieramenti sono affollati di farabutti che fanno i medesimi affari loschi non per la politica, ma tramite la politica. Fino a qualche tempo fa il centrodestra sembrava un vivaio di disonesti, mentre il centrosinistra vantava un'etica superiore, i suoi dirigenti e militanti si proclamavano immacolati. Non era così, ma così appariva grazie ai mass media che, ogni due per tre, beatificavano Enrico Berlinguer (celebrandone le virtù) per aver fatto della «questione morale» il cavallo di battaglia del Pci. Chissà perché, il mito dell'onestà progressista nel giro di pochi mesi è stato distrutto, ridotto in polvere, dopo aver resistito per anni a qualsiasi burrasca che pure avrebbe dovuto spappolarlo.
Le indagini sulle porcherie di Roma indicano chiaramente l'entusiastica partecipazione alle illecite spartizioni di denaro (e favori) di politici e faccendieri di qualsiasi colore. Inizialmente si era puntato prevalentemente su Gianni Alemanno, attribuendogli le maggiori responsabilità del fenomeno corruttivo. Poi ci si è accorti che la sinistra non era affatto innocente e aveva condiviso il sistema che consentiva alle cosiddette cooperative di lucrare in misura vergognosa sull'appalto di servizi pubblici, l'attività dei quali era finalizzata in realtà a recuperare soldi illegalmente.
Una prova schiacciante. È stato accertato che agli stranieri disagiati si era assegnato un quotidiano contributo di sussistenza pari a 50 euro. Ebbene, costoro in realtà ne percepivano 2, di euro, e la rimanenza era incamerata dai delinquenti. All'insaputa degli amministratori? Se fosse così, non si spiegherebbe perché il Comune di Roma non si sia degnato di inviare qualcuno nei campi (li definiremmo di concentramento) per verificare quanti quattrini incassasse al dì ogni assistito. In questa maniera si sarebbe scoperto in dieci minuti che le cooperative erano associazioni per delinquere. Pertanto sia le giunte di sinistra (che hanno sempre governato la capitale) sia quella di destra (che ha governato per cinque anni in mezzo secolo) sono egualmente accusabili di avere erogato milioni senza controllare quale fine facessero. Non è una bella cosa.
La presunta diversità antropologica e culturale del Pd e affini era dunque una sciocchezza anche quando comunisti, postcomunisti ed ex comunisti la spacciavano come un certificato di irreprensibilità. Sorvoliamo sul Mose per carità di patria, limitandoci a rammentare che la torta delle stecche è stata fraternamente divisa fra vari partiti, incluso il Pd. Sorvoliamo anche sui fatti emiliani. Ciò che viceversa ci preme osservare è che il sisma ha principiato a demolire la supposta probità della gente di sinistra allorché Renzi si è esposto pericolosamente, guidando il partito e il governo con metodi berlusconiani.
Il che autorizza l'ipotesi che, pur di danneggiare l'«uomo solo al comando», i compagni contrari alla sua linea abbiano incoraggiato la magistratura a dare la stura al bidone progressista (che era sempre rimasto sigillato) in applicazione del principio «mal comune mezzo gaudio». Il gioco al massacro non è ancora terminato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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