Vicenza - Nel paradiso delle armi è perfino troppo facile trovare chi si scandalizza perché un altro gioielliere passerà i guai per avere sparato a dei rapinatori e averne ucciso uno. «Sempre meglio un brutto processo che un bel funerale», dice Rino mentre guarda nella vetrina un fucile Sauer nello stand di una grande armeria. Ed è difficile aggiungere qualcosa di fronte a questa saggezza amara.
Il paradiso delle armi è Hit Show, la fiera vicentina dedicata alla caccia, al tiro sportivo e all'«individual protection», espressione in cui l'inglese cerca di ammorbidire il concetto plumbeo di autodifesa. La massima manifestazione italiana sulle armi, dove un visitatore su tre indossa qualcosa di mimetico e dove quell'atmosfera da rustico far west che si respira in alcune aree è controbilanciato dall'allure quasi sartoriale dei grandi stand del made in Italy con il mirino.
È l'Italia che spara quella che si ritrova in questa fiera da 41mila metri quadri che chiude oggi. Che spara per gioco, per sport, per mestiere, che spara agli animali ma qualche volta anche alle persone. Un'Italia da molti descritta come brutta, sporca e cattiva. Un espositore ci racconta di come un giornalista con telecamera di una testa di sinistra sabato cercasse disperatamente di riprendere una pistola Glock, «quella con cui ha sparato Traini, l'esaltato di Macerata». I giornali locali sono pieni di titoli sul fatto che non sia stato vietato l'ingresso ai minori, che sono liberi di guardare e perfino imbracciare le armi esposte. A un certo punto un ragazzino che avrà dieci anni ci rivolge contro una sagoma che mima un fucile con su montato un vero puntatore ed effettivamente non è una sensazione bellissima.
Ma nei corridoi della fiera vicentina si parla soprattutto di diritto ad avere armi e a usarle, perché la cronaca ogni tanto ci ricorda che il confine tra la vita e la morte è labile e quello tra il rischiare di morire e quello di uccidere ancora meno. «L'arma - ci spiega Andrea Favaro, del comitato Direttiva 477 che cerca di limitare i danni che potrebbe fare la direttiva europea nata per limitare i diritti di chi detiene le armi - è solo l'ultimo filtro che entra in campo quando sono falliti tutti gli altri. Dopo che il patto sociale che regola la nostra vita, poi il sistema giudiziario e infine quello delle forze dell'ordine non sono scattati, allora resta solo il diritto a difendersi con le armi». Un diritto che pero sembra messo in discussione da accuse come quella di omicidio volontario mossa al gioielliere di Frattamaggiore. «Un'esagerazione, non ha mica scelto lui di essere rapinato», dice Marco, un visitatore. Anche se Ruggero Pettinelli, giornalista di «Armi e Tiro» che ci viene indicato come massimo esperto di legislazione legata alle armi, ci ricorda «che non bisogna scandalizzarsi se chi spara e uccide viene indagato, l'azione penale è obbligatoria, ma certo poi bisogna capire se esiste la punibilità. Se io mi sveglio di notte nel mio letto con accanto uno che mi vuole rapinare e ora, dopo che l'ho visto, mi vuole anche uccidere, se non posso chiamare aiuto e il telefono magari è lontano, ebbene, se ho un'arma ed è l'unico diaframma tra me e la morte, lo Stato deve autorizzarmi a usarla».
Da queste parti il modello «non sono gli Usa come pensa qualcuno bensì la Repubblica Ceca», dice Favaro. «A Praga il 5 per cento dei cittadini gira con un'arma carica in tasca, regolarmente detenuta, perché le leggi sono molto meno restrittive che da noi e il tasso di criminalità è molto basso». Già, pare proprio che esista una correlazione inversa tra numero di armi regolarmente detenute anche da comuni cittadini e reati violenti.
«Il tasso più basso, 181 reati violenti ogni 100mila abitanti, si ha in Svizzera, dove esiste una delle legislazioni più permissive in materia. Più o meno la stessa superficie e la stessa popolazione dell'Honduras, dove esistono invece leggi tra le più restrittive sulle armi. Ebbene: indovini dove si verificano più reati». Honduras?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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